Con Alessandria perché?, Youssef Chahine realizza quello che è generalmente considerato il suo capolavoro, con cui guadagnò l’Orso d’Argento al Festival di Berlino, offrendo tra l’altro il primo racconto autobiografico del cinema arabo. Intrecciando storia collettiva e storia personale nell’Egitto della Seconda guerra mondiale, il maestro egiziano contamina più generi all’interno di una narrazione rapsodica, corale, stratificata, tenendo come perno una sorta di avatar di se stesso.
All’apice della carriera, comincia a riflettere su se stesso e sul suo ruolo: in sostanza un coming of age che entra in un pezzo di mondo spesso a noi precluso, è il primo capitolo di una tetralogia autobiografica conclusa nel 2004, un sontuoso affresco socio-politico, una drammatica commedia umana che aggroviglia la fiction coi pezzi di repertorio, la memoria degli uomini e le pagine della cronaca ufficiale, un romanzo popolare coraggioso e appassionante fino alla commozione.
Segni di un’evidente autofiction che all’epoca non si chiamava certo così, ma attorno alla quale Federico Fellini aveva già detto molto se non tutto in chiave poetica con Amarcord, a cui questo film si ispira in una certa misura benché mitigando la dimensione fantastica in una direzione più realistica: vi sono i suoi colori brillanti filtrati dalla nostalgia, una rutilante galleria di personaggi approcciati con una prospettiva talvolta perfino fumettista, la capacità di rendere unitario un racconto frammentario.
Di suo, Chahine, in questo classico che meriterebbe d’esser molto più conosciuto, ci mette molto: la passione per il musical americano quale massima espressione dello splendore occidentale agli occhi del ragazzo alla periferia del mondo, l’omosessualità inaudita di una relazione vittima-carnefice suggerita eppure lancinante per non-detti, ellissi narrative, languori racchiusi dentro occhi che vorrebbero esplodere, l’amore che poco può di fronte alla barbarie bellica.
Al centro della storia, Yahia (interpretato da Mohsen Mohieddine, con cui Chahine ebbe una storia d’amore), un sedicenne che ha il sogno di fare l’attore, recita Shakespeare in classe ammaliando il professore, mette su uno spettacolino satirico contro i nazisti, finché convince i genitori spendaccioni (irresistibile coppia borghese votata al declassamento) a mandarlo in America malgrado la mamma lo voglia ancora con sé e il papà aspiri a vederlo ingegnere.
Attorno a lui: i tedeschi che stanno per occupare la città pronta ai coprifuoco; il papà che rinuncia a fare carriera per non mettersi in affari con gli inglesi; la disgraziata storia d’amore tra un sindacalista e una ricca ebrea costretta alla fuga; un nazionalista arabo che s’innamora del soldato inglese che tiene in ostaggio. In parallelo: la parafrasi, col senno di poi, della politica contemporanea, con l’appoggio al riconoscimento dello stato d’Israele da parte degli americani che assicurò al film il veto in tutti i paesi arabi. Chahine compare in un cammeo: è quello che offre la quota decisiva per mandare in America il protagonista.
ALESSANDRIA PERCHÉ? (ISKANDERIJA…. LIH?, Egitto-Algeria, 1979) di Youssef Chahine, con Naglaa Fathi, Ahmed Zaki, Mohsen Mohieddine, Moshena Tawfiq, Farid Chawki, Mahmoud El-Meligui, Ezzat El-Alaili, Gerry Sundquist, Yehia Chahine, Leila Faouzi. Drammatico. ****