Alla riscoperta di Lina Wertmüller | Non stuzzicate la zanzara (1967)

Ci sono due modi per leggere Non stuzzicate la zanzara. Anzi tre. Il primo è nel novero dei musicarelli. Filone tra i più prolifici degli anni Sessanta, i musicarelli nascono per sfruttare o lanciare successi discografici, promuovendo i cantanti a protagonisti di film pensati per il pubblico popolare, guarniti di grandi caratteristi chiamati a reggere la baracca e caratterizzati quasi sempre dalla storia di un amore prima ostacolato dagli adulti e infine trionfante.

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Il secondo è la sua dimensione commerciale se non mercantile, essendo Non stuzzicate il sequel di Rita la zanzara. Un’operazione, dunque, che cavalca la cresta dell’onda, che usa la giusta dose di furbizia per capitalizzare il successo dell’anno precedente nonché quello di Rita Pavone, la star del tempo più atipica e complessa, già con Lina Wertmüller (qui senza lo pseudonimo George Brown) nel capolavoro televisivo musical Il giornalino di Gian Burrasca.

Poiché le ambizioni del dittico superano di gran lunga quelle della maggior parte dei prodotti coevi, non è sbagliato parlare di questi film come musical e non musicarelli. Non tanto per conferire un peraltro inutile quarto di nobiltà, quanto piuttosto per una struttura che c’entra solo in superficie con il progetto industriale del musicarello e dimostra, invece, di aver chiara la lezione del musical hollywoodiano, unica tradizione cinematografica alla quale riferirsi essendo il genere estraneo all’Italia.

Ma, si diceva in apertura, c’è anche una terza chiave di lettura. Ed è Federico Fellini. Almeno fino a questo film, il cinema di Lina Wertmüller è impregnato di Fellini e di fellinismo. Se I basilischi era una cover lucana de I vitelloni e Questa volta parliamo di uomini virava in grottesco certi assurdi fellineschi, il dittico di Rita è per colori, umori, passioni la versione liofilizzata, epidermica, ipotetica di un ideale musical del maestro riminese, con l’acidità della stagione spiritesca, la simpatia per la cultura pop, l’adesione al versante onirico.

Film chissà quanto consapevolmente pre-sessantottino (la Zanzara, ricordiamolo, era il giornale-scandalo che travolse il Liceo Parini), riprende le avventure della discola Rita che, fuggita dal collegio, si ritrova con il suo professore di canto nonché fidanzato nella fortezza dove vivono i genitori e le tre zie: qui, il padre dirige un’accademia di aspiranti guardie svizzere e la mamma repressa cerca di aiutare la figlia a partecipare ad una gara canora. Ribellione ed emancipazione, famiglie castranti e sogni artistici, i pugni in tasca e questo nostro amore.

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Rispetto al precedente, c’è una scelta più bizzarra completamente in linea con l’immaginario felliniano. A sottolinearlo non c’è solo la presenza esplicita di Giulietta Masina, madre di Rita un po’ fuori posto con quella sua recitazione abbastanza stucchevole eppure piuttosto divertita nei numeri musicali. Ma ci sono anche le scene e i costumi di Enrico Job che reinventano un mondo assurdo, virato in viola o a strisce psichedeliche, a metà tra le fantasie di Piero Gherardi e il gusto della stagione beat.

A mancare, tuttavia, è qualcosa di parimenti divertente al primo film. Il grottesco è una strada battuta in maniera troppo programmatica, l’attenuazione del realismo verso una dimensione più fiabesca si scontra con l’idea – alla base di tutto il genere del musicarello – di dover dire qualcosa anche sugli scontri generazionali tra la famiglia militaresca e i giovani capelloni-ribelli. Lina, comunque, il musical ce l’ha dentro: e, infatti, pur non facendone mai più un altro, lascia che la suggestione collimi spesso nella sua opera.

NON STUZZICATE LA ZANZARA (Italia, 1967) di Lina Wertmüller, con Rita Pavone, Giulietta Masina, Giancarlo Giannini, Romolo Valli, Peppino De Filippo, Mita Medici, Raffaele Pisu, Enrico Viarisio, Giusi Raspano Dandalo, Caterina Boratto, Teddy Reno. Musical commedia. **

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