Il diavolo | Gian Luigi Polidoro (1963)

Progetto Sordi

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La leggenda prima del film. Il diavolo era il primo titolo de Il sorpasso, un soggetto che Rodolfo Sonego scrisse per Alberto Sordi, poi – come si sa – portato in scena da Dino Risi con Vittorio Gassman. Sordi non ha mai perso occasione per dispensare sentenze velenose sul mancato ruolo; in realtà è probabilmente una reazione all’imprevisto successo di un film che non volle girare perché aveva capito bene quanto triste e disprezzabile era il personaggio di Bruno Cortona.

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Il fatto che fosse nella vita un moralista non gli impedì di interpretare uomini indegni: c’è una infinita galleria a dimostrare l’attenzione del divo per caratteri vigliacchi, infami, cinici, bugiardi. La verità, forse, è che Sordi intuì del Sorpasso un’anima nera che forse lo intimoriva un po’ troppo. Non a caso sono gli anni in cui esce dal progetto de I mostri di Elio Petri, zenit del periodo per acidità e cattiveria.

Insomma, Il diavolo mutua il suo titolo da un film mancato ed è programmaticamente pensato nell’ambito di una rassegna umoristica di maschere dopo Il seduttore, Lo scapolo, Il marito, Il vedovo, Mafioso, Il commissario. Sono i titoli a dirci che Sordi basta a se stesso, anche in questo caso: ma cosa significa “diavolo”? Penso si debba intenderlo nell’accezione sprezzante-affettuosa di “povero diavolo” più che nel senso di demonio o abitante degli inferi.

La leggenda, si diceva. All’apice della carriera, Sordi ottiene da Dino De Laurentiis, che lo tiene in esclusiva sotto contratto, di andare in Svezia con Sonego, il regista Gian Luigi Polidoro, l’operatore Aldo Tonti per improvvisare sul campo la storia di un quarantenne rappresentante di pellame che scopre un mondo di donne disinibite ed emancipate e cerca di scopare il più possibile… senza riuscirci. Raffinatissimo titolo inglese: To bed… or not to bed.

Ora, provate ad immaginare una storia così oggi, in pieno Me Too. Praticamente impossibile. Oppure: provate ad ipotizzare la possibile attuale ricezione di questo film un po’ dimenticato. Incredibile dictu, Il diavolo ebbe un ottimo riscontro internazionale. Non solo vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, ma permise a Sordi di vincere il suo massimo alloro internazionale: il Golden Globe per il miglior attore di commedia, secondo italiano di fila dopo Marcello Mastroianni per Divorzio all’italiana, superando tra gli altri nientemeno che Cary Grant (Sciarada), Jack Lemmon (Irma la dolce) e Albert Finney (Tom Jones).

Perché piacque così tanto? Forse si tratta della congiunzione di vari fattori. L’allure della commedia italian style, all’epoca largamente apprezzata; la suggestione data dall’impressione documentaristica che l’avvicinava ai fermenti indisciplinati delle new wave europee; l’identificazione con un personaggio comune alle prese con un tipo di erotismo esotico, lontano dal perbenismo e dal moralismo della borghesia occidentale; i primi vagiti dell’incipiente emancipazione sessuale; e soprattutto la moda della Svezia, terra di progresso e libertà.

A voler essere onesti, Il diavolo è invecchiato piuttosto male. Troppo lungo, con poco ritmo, senza una vera spina dorsale. Alla lunga, l’assenza di un vero intreccio si fa sentire, con una sequela di frammenti diseguali ora malinconici ed efficaci (l’incontro con la ragazzina in albergo che fa riemergere il passato delle ferite di guerra) ora più telefonati e prevedibili (la signora rimorchiata alla serata del Nobel).

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C’è indubbiamente una certa capacità intuitiva nel disegnare il bozzetto dell’italiano borghese in vacanza, che cerca di realizzare i sogni impuri che gli sono preclusi nel suo mondo di appartenenza per i limiti imposti dalla morale. Ma, in fin dei conti, ad affiorare è quel mix di moralismo incrociato con il sociologismo tipico del Sordi meno felice, peraltro nemmeno particolarmente in palla nonostante i premi raccolti.

Come gli capitava non di rado, volendo sottolineare il suo essere autore, l’attore, senza troppo tatto nei confronti di Polidoro, ha spesso lasciato intendere di averlo diretto lui. In realtà c’è molto di questo regista viaggiatore alla seconda trasferta a Stoccolma dopo Le svedesi del 1960; al contempo, è curioso rivelare che i primi film di Sordi come regista raccontano italiani all’estero (Fumo di Londra, Un italiano in America).

IL DIAVOLO (Italia, 1963) di Gian Luigi Polidoro, con Alberto Sordi, Gunilla Elm-Tonkvist, Anne-Charlotte Sjöberg, Barbro Wastenson, Monica Wastenson, Ulla smidje, Ulf Palme, Lauritz Falk. Commedia. **

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