Detenuto in attesa di giudizio | Nanni Loy (1971)

Progetto Sordi

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Più negli anni si impone – spesso disgraziatamente – quale unico possibile regista di se stesso e più emerge la grandezza del Sordi diretto dai registi veri. Ne è la prova Detenuto in attesa di giudizio, film che interpretò per Nanni Loy, onesto e nascosto professionista quasi battezzato dall’attore (Il marito fu il suo secondo opus, in tandem con Gianni Puccini) ma più vicino al bonario e malinconico universo manfrediano che a quello feroce della galassia sordiana.

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Alla galassia di Sordi, invece, appartengono i due sceneggiatori di fiducia, il maestro Sergio Amidei e il leale Rodolfo Sonego, due che in qualche modo hanno forgiato se non creato il personaggio. A partire da Inchiesta sulle carceri di Emilio Sanna, Amidei e Sonego forniscono a Sordi l’occasione per misurarsi con quello che è forse il suo primo, vero grande ruolo drammatico tout court, dove con l’espressione s’intende sottolineare quanto qui l’attore abdica completamente alle tentazioni del comico.

Si dirà che il dramma l’aveva già frequentato sin dai tempi de La grande guerra per poi esplorarlo in Mafioso, Il maestro di Vigevano, perfino nella pseudoparodia antonionana Amore mio aiutami. D’accordo, ma qui se scappa una risata è dovuta ad uno stuolo di grotteschi comprimari (il direttore del carcere Lino Banfi, le guardie che raccomandano avvocati, i regionalismi nel linguaggio dei detenuti) confina con l’imbarazzo di una satira mancata perché interessata ad affondare come un coltello in una ferita viva.

In Detenuto in attesa di giudizio – che in apparenza gioca nel titolo burocratico-cronachistico con la moda della lunghezza, sulla scia di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto – Sordi indossa un nome scopertamente simbolico (Giuseppe: il più diffuso in Italia; Di Noi: un cognome in cui identificare un popolo, una società) ed è un geometra (il mestiere forse più emblematico per capire la penetrante stratificazione del miracolo economico) che ha fatto fortuna in Svezia (la patria del progressismo, peraltro meta fondamentale per il piccoloborghese in cerca di avventure de Il diavolo), dove vive con la famiglia.

Decide di portare moglie e figli in vacanza, ma viene fermato alla frontiera. Nessuno gli da spiegazioni. Finisce in carcere, apprende di essere accusato di omicidio colposo preterintenzionale di un cittadino tedesco. Inizia così un calvario giudiziario in giro per il Paese, privato di essenziali diritti civili, sballottato da una prigione all’altra senza che nessuno si preoccupi davvero di vederci chiaro… e quando la situazione si fa più chiara, non solo a nessuno passa per la testa di chiedere scusa, ma le conseguenze sono più inquietanti di quanto si possa credere.

Naturale che un soggetto del genere – a prima vista più nelle corde di Manfredi, sempre a suo agio nel calibrare farsa e patetismo, con quella faccia mai immemore della fame patita – fosse oro per Sordi, da sempre attratto dalla possibilità di essere l’attore della nazione, il corpo deputato a raccontarne le contraddizioni, i mutamenti, le storture.

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La fortuna del film è il saggio addomesticamento di Loy, che se da una parte esalta il peggio del corpaccione dello Stato (personaggi brutti, gretti, incattiviti, ignoranti: vedasi la sequenza della messa) dall’altra riesce ad arginare gli istrionismi del divo. Che da par suo lascia affiorare con struggente espressività la solitudine di una vittima designata, l’impotenza di un italiano come tanti (Di Noi…) chiamato a comprendere l’assurdo di un sistema malato, l’alienazione di una mens sana a poco a poco condotta alla follia.

Per questo ruolo così anomalo nella sua carriera, Sordi vinse l’Orso d’Argento a Berlino (il festival straniero che ha più gratificato un attore così in apparenza non esportabile). Difficile trovare un interprete più adatto a raccontare lo smarrimento di un piccolo borghese costretto a misurarsi con una storia tanto crudele. Ci sono immagini straordinariamente antisordiane: da brividi quando un detenuto sputa e percuote la statuettaa della Madonna, che cade a terra e si spacca la testa, fino allo straziante finale con l’accendino. Titolo inglese niente male: Why?.

DETENUTO IN ATTESA DI GIUDIZIO (Italia, 1971) di Nanni Loy, con Alberto Sordi, Elga Andersen, Andrea Aureli, Nazzareno Natale, Michele Gammino, Lino Banfi, Luca Sportelli, Tano Cimarosa, Silvio Spaccesi, Giovanni Pallavicini, Antonio Casagrande, Gianni Bonagura, Giuseppe Anatrelli, Mario Brega, Mario Pisu, Gianfranco Barra. Drammatico. *** ½

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