THE PERFECT CANDIDATE (Arabia Saudita-Germania, 2019) di Haifaa Al-Mansour, con Nora Al Awadh, Dae Al Hilali, Mila Al Zahrani, Khalid Abdulraheem. Drammatico. ** ½
Esiste un cinema delle periferie rivolto al centro. Per essere meno criptici: esiste un cinema mediorientale che ha come pubblico di riferimento quello occidentale. Appartengono a questo gruppo film che potremmo definire bifidi. Da una parte, spesso bisogna prenderli più come atti civili per comunicare all’estero situazioni problematiche, bypassando le “ragioni artistiche”; dall’altra, rispondono da anni a una formula codificata, fatta di stereotipi e semplificazioni utili soprattutto agli spettatori di cui sopra.
Naturalmente esistono molti film che riescono ad emanciparsi da queste regole, pensiamo a Asghar Farhadi. Alcuni esempi: Viaggio a Kandahar, Cafarnao, La bicicletta verde, diretto dalla stessa regista di The Perfect Candidate. Non fa eccezione, dunque, il nuovo lavoro di Haifaa Al-Mansour, prima autrice saudita a realizzare film, di ritorno in Arabia Saudita dopo l’esperienza americana di Mary Shelley. Ma forse è proprio il suo statuto professionale a renderla inevitabilmente campionessa della categoria.
In realtà, il film è abbastanza piacevole ma non ci si distacca mai dalla sensazione di uno spettacolo ad uso e consumo della buona coscienza di un pubblico open mind pronto a riflettere ed eventualmente indignarsi senza andare oltre la superficie dell’engage più facile. Qui il cortocircuito è esplicitato dalla stessa trama: una giovane dottoressa (già una trama a sé: molti uomini non vogliono farsi curare da lei e non ne rispettano la professionalità), dopo un equivoco, decide di candidarsi al consiglio comunale con l’unico punto programmatico di asfaltare la strada per accedere alla clinica locale.
Il “candidato perfetto” è tale agli occhi dei maschi che non la temono perché non la considerano degna della competizione. L’unico uomo più o meno decente è il padre, timoroso musicista frustrato. Le donne possono anche attestarle stima ma sono talmente sottomesse che non hanno alcun diritto di scegliere chi votare. La sfida alla comunità è precisa e, alla lunga, i risultati cominciano a vedersi.
Senza farsi risucchiare dalla secche del “tema” e del “contenuto”, Al-Mansour costruisce con semplicità e senso popolare un tenue dramma militante che somiglia al cinema di settant’anni fa, in cui emerge un personaggio femminile scritto con intelligenza e sensibilità. Tutto molto corretto, raggiunge l’esito prefissatosi ma dopo un po’ non resta niente, se non il ricordo di qualche suggestione esotica in un racconto importante quanto poco incisivo nella memoria.