Venezia 76 | Recensione: Madre

MADRE (Spagna-Francia, 2019) di Rodrigo Sorogoyen, con Marta Nieto, Jules Porier, Anne Consigny, Alex Brendemühlm, Frédéric Pierrot, Raúl Prieto, Álvaro Bales. Mélo. *** ½

Talento indiscusso del cinema spagnolo, a questo punto tra gli autori under 40 più importanti del continente europeo, Rodrigo Sorogoyen si ritrova in concorso a Orizzonti, sezione sulla carta dedicata alle nuove tendenze, quando avrebbe meritato senza troppi giri un posto nel concorso ufficiale. Anche perché, al di là delle lodi, il suo Madre è l’espansione di un cortometraggio che ha vinto il Goya ed è stato candidato agli Oscar.

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In più, lo statuto di Sorogoyen è stato in qualche modo ufficializzato da un cospicuo numero di premi, ottenuti perlopiù con due thriller ottimi: il cupo poliziesco Che Dio ci perdoni e soprattutto il political drama Il regno, con cui ha conquistato i massimi riconoscimenti nazionali. Inserito in Orizzonti appare come un atto di miopia e finisce per non valorizzare al meglio la qualità di un film che conferma quanto l’autore sia tra coloro da seguire oggi con massima attenzione.

Dopo gli originali titoli di testa, tutti racchiusi in un’inquadratura, con il titolo confinato all’angolo dello schermo alla fine della sfilza di nomi, Madre inizia con un pianosquenza al cardiopalma (che è il corto originale), immediatamente capace di instaurare un rapporto empatico con lo spettatore. Una donna risponde alla chiamata del figlioletto, al mare con il padre da cui lei è separato: ha paura, il genitore non si sa dove sia andato e c’è un uomo che lo sta fissando. La più grande paura di una madre abita questo momento. E Sorogoyen monta la tensione emotiva in un modo magistrale, portando l’angoscia a un livello intollerabile eppure mai sgradevole nel cercare il nostro turbamento.

Stacco. Dieci anni dopo. La madre non ha mai elaborato davvero il trauma. Lavora in un locale sul mare, litorale francese, forse la spiaggia della tragedia. Ora la occupano i villeggianti borghesi con la seconda casa. Tra di loro c’è un adolescente, verso cui lei ha qualche turbamento di troppo. Non esattamente erotico, c’è qualcosa di più e di meno. Attrazione? No. Memoria. Tattile, sensitiva. E lui l’asseconda, la fa svagare, la porta verso lidi pericolosi con l’innocenza malsana dei giovani uomini inesperti.

Dominato dalla strepitosa performance di Marta Nieto, Madre contiene, veicola e costituisce un ritratto femminile complesso e doloroso, che rimane tale anche quando non rifiuta le contraddizioni insite a una storia tanto lancinante e a forte rischio di patetismo. Nelle mani di Sorogoyen, il mélo esplode: e se è vero che forse qua e là avrebbe beneficiato di un maggiore controllo, è altrettanto vero che sta proprio in questa esuberanza straziante il cuore battente del film.

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Attraverso una regia virtuosa e mai virtuosistica, Madre si staglia quale racconto universale la cui estetica corrisponde all’etica, con i vasti spazi a sottolineare la solitudine della protagonista in un mondo verso il quale non sa instaurare una comunicazione. Straordinario l’incontro in penombra con l’ex marito, di cui non vediamo il volto per una scelta a metà tra la rabbia e il pudore. Un film luttuoso, funebre, disperato che usa la musica (L’estate sta finendo, la discoteca) e il sonoro come interferenze in continuità con il dramma per eccellenza.

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