ADULTS IN THE ROOM (Francia-Grecia, 2019) di Costa-Gavras, con Christos Loulis, Ulrich Tukur, Alexandros Mpourdoumis, Daan Schuurmans, Christos Stergioglou, Josiane Pinson, Aurélien Recoing, Valeria Golino, Francesco Acquaroli. Storico drammatico. *** ½
Probabilmente è vero che con Adults in the Room Costa-Gavras fa un cinema antico, legato alla sua stagione migliore (o comunque la più prolifica). Anzi, forse questo cinema, costruito in questo modo, Costa-Gavras l’aveva sempre lasciato come ipotesi delle sue messinscene, in favore di quel “grande spettacolo d’autore” di cui è stato massimo esponente in Europa assieme ad altri, per esempio, Francesco Rosi. Eppure, a ottantasei anni, al maestro – ormai sempre meno impegnato dietro la macchina da presa – non potevamo chiedere qualcosa di diverso.
Adults in the Room è la quintessenza del cinema civile. Per la prima volta, il naturalizzato francese Costa-Gavras gira un film nella sua patria, la Grecia. Ed era inevitabile, dal momento che il tema scelto è la Grecia stessa. Un thriller politico che rende la cronaca già storia, che ha il suo centro in un ministro-eroe nazionale che lotta contro il moloch europeo per ristrutturare il debito. A partire dal libro di Yanis Varoufakis, racconta la crisi economica della nazione martoriata dalle disgraziate politiche precedenti al governo di Alexis Tsipras e dall’austerità imposta dall’UE.
Chiaro che quello di Costa-Gavras è un atto militante e didascalico subordinato all’idea di Varoufakis, ma la capacità di montare al tensione è più importante dell’assenza di un reale contraddittorio. Ci vuole una certa maestria sia nel rendere due ore di riunioni e confronti un’appassionante requisitoria contro le derive del capitalismo e le disfunzioni del potere europeo sia nell’evitare gli effetti un po’ posticci tipici degli instant movie.
Tutti si chiamano per nome, quasi per acuire quel senso confidenziale con cui i potenti cercano invano di inglobare l’informale ministro (ma ci riescono con il premier), procedendo con la sua denigrazione mediatica una volta respinti i corteggiamenti. Le caricature sono abbastanza sviate e i personaggi sono riconoscibili attraverso un procedimento a metà tra la stilizzazione e il simbolismo, respingendo così il pericolo da teatrino satirico che non definiremmo Bagaglino. Forse il balletto finale è fin troppo metaforico, però tutto sommato coerente con la carriera di un autore da sempre convinto di dover unire i doveri della militanza e il bisogno dell’intrattenimento. Il titolo si riferisce a una eloquente battuta di Christine Lagarde.