Venezia 76 | Recensione: Guest of Honour

GUEST OF HONOUR (Canada, 2019) di Atom Egoyan, con David Thewlis, Laysla De Oliveira, Luke Wilson, Rossif Sutherland, Alexandre Bourgeois, Gage Munroe. Thriller. ** ½

Puro Atom Egoyan: costruzione a incastri, flashback nei flashback, allusioni ed evocazioni. Alla morte del padre, solitario ispettore sanitario rimasto vedovo da tempo, sua figlia ne racconta a un prete, giunto lì per avere qualche coordinata per l’omelia, il carattere introverso, il profilo tormentato, i dolori privati. Primo fra tutti: l’incarcerazione proprio della figlia, detenuta perché accusata di molestie sessuali nei confronti di un suo allievo.

Modulata sui suoni avvolgenti e inquietanti prodotti dallo sfioramento dei calici, dentro una narrazione a scatole cinesi si sviluppa una parabola sulla frangibilità suggerita dai cristalli carezzati, sulla fragilità degli esseri umani feriti a morte dalle pugnalate della vita, sulla fallibilità dei deboli costretti ad immaginarsi forti. Verità, menzogna, reputazione: il guest of honour è il protagonista stesso, così definito ironicamente per indicare la sua professione che lo rende ospite sgradito, da trattare con quegli ossequi che mascherano il desiderio di ucciderlo.

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Nella confezione di un thriller dall’ambizione hitchcockiana, il cui intrigo funziona fino a un certo punto per l’accumulo di reticenze e ambiguità, Egoyan si concentra soprattutto sul ritratto di un uomo distrutto, padre costretto a ripensare se stesso e la sua funzione nella vita della figlia, misantropo afflitto e gentile che negli abissi del suo forzato autocontrollo riesce a occuparsi solo del coniglio domestico. Il grande David Thewlis domina la scena con grandiosa capacità di sottrazione.

Tuttavia, Egoyan (anche sceneggiatore unico) non trova in definitiva il tono giusto per raccontare il giallo umanista che si pone dapprincipio, attestandosi su un onesto sebbene raffinato intrattenimento che chiede allo spettatore di orientarsi nelle ellissi di un racconto filtrato dallo sguardo reticente della figlia, rischiando talora di girare un po’ a vuoto. Un esercizio di stile? A volte.

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