Recensione: Le stelle non si spengono a Liverpool

LE STELLE NON SI SPENGONO A LIVERPOOL (FILM STARS DON’T DIE IN LIVERPOOL, G.B., 2017) di Paul McGuigan, con Annette Bening, Jamie Bell, Julie Walters, Kenneth Cranham, Stephen Graham, Vanessa Redgrave, Frances Barber. Biografico mélo. ***

Nei film in bianco e nero, Gloria Grahame interpretava spesso “ruoli da sgualdrina”. Almeno così dice al giovane Peter la signora che le affitta una camera a Liverpool. Dato che «non la incontri certo sul Sunset Boulevard», è lecito pensare che il viale del tramonto sia iniziato da un bel po’. Eppure ha perfino vinto un Oscar, svela a Peter il tipo del pub, riconoscendo il malizioso musetto della maliarda diva nel viso scalfito dalle rughe della vispa signora.

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Ormai più vicina ai sessanta che ai cinquanta, l’ex diva americana è finita in Gran Bretagna, alla ricerca di ingaggi teatrali. Ha lasciato in America i quattro figli, due dei quali avuti con il già figliastro, il figlio del secondo marito Nicholas Ray. Donna complicata e affascinante, “esule artistica” sia perché vittima della spietata legge hollywoodiana che non dà spazio alle attrici mature sia a causa della condotta scandalosa, alla metà degli anni Settanta ha vinto un cancro al seno, che purtroppo si ripresenta nel 1981.

Nell’arco di circa tre anni, Le stelle non si spengono a Liverpool, basato sul memoir di Peter Travers, racconta la storia d’amore tra Gloria e il ventottenne Peter, attore emergente che impara a conoscerla con tutte le problematiche del caso, oltre il pur importante divario anagrafico: il malinconico narcisismo di un’attrice che non sa accettare il tempo che passa; la passione che travolge una donna dominata dal desiderio d’amare e un ragazzo desideroso di vivere una storia con una donna del genere; gli improvvisi scatti d’ira e l’incapacità di comprenderla; la paura di provocare dolori non addomesticabili…

Un mélo completo per colori e umori, che la regia di Paul McGuigan riesce non di rado ad emancipare dal pericolo di un polveroso tv movie grazie all’intelligente resa scenica delle intuizioni di scrittura (le porte che si aprono sul passato, il doppio punto di vista nel momento topico), alla qualità di un’immagine che occhieggia alla “finzione” della Hollywood classica (i fondali americani, i tagli di luce che illuminano gli occhi), alla tensione con cui monta un love affair destinato a triste epilogo.

Senza sensazionalismi né calcando la mano, il film (il primo prodotto da Barbara Broccoli fuori dall’universo 007) individua alcuni momenti davvero intriganti. E se “l’addio alle scene” sul palco della Royal Shakespeare Company con la recitazione di Romeo e Giulietta è di struggente delicatezza (probabilmente anche più efficace del vero saluto finale, come d’altronde si conviene a una storia d’attori), è difficile non soffermarsi su un minuto clamoroso da mettere accanto per lucidità cinefila all’ultimo Tarantino, quando fa andare al cinema Margot Robbie/Sharon Tate a vedere un film con Sharon Tate.

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Quasi per entrare nel mondo cinematografico della sua nuova amica – una che vive di cinema e nel cinema: è l’unica in platea che si diverte di fronte ad Alien, consapevole dei trucchi della messinscena – e cercare tracce del passato nel presente, Peter (l’ottimo Jamie Bell, che ricompone con Julie Walters la coppia di Billy Elliot) va al cinema con Gloria a vedere Anatomia di un delitto. Mentre sullo schermo c’è la vera Grahame, in sala Annette Bening nel ruolo della matura Gloria si rispecchia nell’immagine di quel vecchio film. Quando si accorge che Peter la sta fissando, Annette/Gloria ne incrocia lo sguardo e ride, compiaciuta e imbarazzata.

Un omaggio dai tratti metacinematografici, forse privo della consapevolezza teorica del Tarantino e più “organico” alla narrazione, ma del tutto spiazzante per il patto stipulato con lo spettatore, a cui si chiede di credere al fatto che la Bening sia effettivamente la Grahame. E funziona anche perché la meravigliosa Bening è sublime, ancora una volta scandalosamente ignorata dall’Academy: è una delle più grandi attrici del mondo, cos’altro deve fare per vincere un Oscar? Sui titoli di cosa, Elvis Costello.

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