Siamo sempre più convinti della grandezza di Sydney Pollack, cineasta umanista che negli anni ottanta – il decennio meno prolifico: solo tre lavori, compresa l’epocale commedia dei corpi deformati e performanti nell’immagine televisiva: Tootsie – realizza il suo spettacolo più magniloquente e allo stesso tempo non dimentico di quell’intimismo che è componente fondamentale della sua poetica.
Film d’autore nel senso krameriano del termine, con Pollack non solo regista ma soprattutto anche produttore come promosso dalla rivoluzione newhollywoodiana, La mia Africa ribalta la stupida e deleteria condanna de I cancelli del cielo, il film con cui Michael Cimino avrebbe condotto al fallimento la United Artist: una grossa produzione può – anzi: deve – reggersi sulla visione di un autore, a cui spetta il diritto del final cut.
I sette Oscar vinti – con Pollack miglior regista contro John Huston e Akira Kurosawa – hanno progressivamente fatto male al film, tant’è…
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