Recensione: Yesterday

YESTERDAY (G.B.-Russia-Cina, 2019) di Danny Boyle, con Himesh Patel, Lily James, Joel Fry, Kate McKinnon, Ed Sheeran, Sophia Di Martino, Ellise Chappell, Harry Michell, Vincent Franklin, Ana de Armas, Robert Carlyle. Fantastico musicale sentimentale. **

Se il cinema del sovrastimato Danny Boyle dimostra ancora una volta schizofrenia e inconcludenza, è un peccato attestare il giro a vuoto di Richard Curtis, sceneggiatore tra i più influenti della commedia contemporanea, che dai confini inglesi ha saputo imporre su scala internazionale l’idea di un film romantico e rapsodico. Pensiamo all’incidenza culturale del fondamentale Quattro matrimoni e un funerale o alla scaltra potenza seminale del mosaico Love Actually.

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Senza abusare di formule fortunate, Curtis, approdato anche alla regia, ha individuato nel tempo il luogo ideale per misurare il proprio tenero afflato melodrammatico, frantumandolo in mille rivoli da considerare in parallelo, esplorando il passato per immaginare sorridenti utopie fino al determinante Qualcosa nel tempo, in cui la capacità di poter viaggiare nel tempo per risolvere i problemi della vita e raggiungere la felicità ideale innesca nella forma-commedia un meccanismo drammatico nel quale si rispecchiano angosce, ambizioni, dolori.

Annunciato quale suo ultimo film dietro la macchina da presa, da alcune suggestioni qui presenti (e dal corpo amoroso di Lily Collins) Curtis sviluppa il cuore di Yesterday, dove pezzi di passato vengono cancellati a causa di un blackout globale. Dopo un incidente che l’ha quasi ucciso, Jack, un giovane cantautore, si rende conto che in seguito a quell’evento il mondo ha dimenticato i Beatles (e la Coca Cola, le sigarette, Harry Potter…). Essendo (forse) l’unico a ricordarle, Jack inizia a suonarle… e diventa una star, grazie all’apporto di Ed Sheeran.

A partire da una sceneggiatura di Jack Barth e Mackenzie Crook (e con qualche somiglianza di troppo con Jean-Philippe di Laurent Tuel, analogo concept ma con Johnny Halliday), Curtis e Boyle sviluppano la piccola storia con l’intenzione di renderla una favola fantastica che, nella confezione di un musicarello inglese ad alto budget, sfrutta come può la disponibilità del repertorio dei Beatles, scegliendo per titolo la canzone più rappresentativa per interpretare il punto di vista di una narrazione che dall’oblio del “ieri” si proietta alle possibilità del “domani”.

Certo, il coinvolgimento di Sheeran è interessante, perché se da una parte viene tutto sommato considerato un trait d’union tra la tradizione e l’attualità (e lui se ne sobbarca volentieri il peso), dall’altra la contrapposizione tra il suo pur apprezzabile profilo artistico e quello del neofita che propone un canzoniere intramontabile lo mette in una situazione di naturale subalternità che però lascia solo sul piano del non-detto la frustrazione dell’artista (vero) di fronte al portato iconico di brani diffusi da un amatoriale.

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Una volta accettata l’intuizione bizzarra (d’accordo i Beatles, ma perché il mondo non dovrebbe ricordarsi anche di quelle altre “esperienze collettive”? E tutto l’universo derivativo? E i Coldplay? E gli Oasis? Sarebbero stati possibili senza i Beatles?), si fa più fatica ad accogliere sia le modalità dell’ascesa globale di una superstar (goffe le riunioni per lanciare The White Album) sia il momento al limite del kitsch dell’incontro con John Lennon (il feticcio di Boyle, Robert Carlyle), più imitazione posticcia che toccante ipotesi romanzesca.

Spigliato dispositivo di nostalgia, resta sul piano della bella idea mal sfruttata come il finale che, sulla carta, dovrebbe infiammare la commozione, mentre funzionano un po’ meglio sia i siparietti domestici nella famiglia d’origine indiana del protagonista sia le traiettorie romantiche della storia d’amore. Tuttavia l’eccentrica e audace operazione si annacqua nello sguardo pretenzioso e vaporoso del bollito Boyle.

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