Recensione: La famosa invasione degli orsi in Sicilia

LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA (LA FAMEUSE INVASION DES OURS EN SICILE, Francia-Italia, 2019) di Lorenzo Mattotti. Animazione avventura. *** ½

Come accade con Italo Calvino, quando si ha a che fare con Dino Buzzati l’adattamento forse più sensato è quella nella forma del cinema d’animazione, quasi che la realtà non sia alla portata di un’opera tanto stratificata e autonoma. E, certo, La famosa invasione degli orsi in Sicilia è il testo che appare meglio disponibile alle possibilità di una mediazione del genere, non fosse altro per gli animali e la componente magica presenti in una storia dal forte portato allegorico.

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Per Lorenzo Mattotti, maestro assoluto dell’illustrazione, si tratta del debutto al cinema, dopo la strana esperienza in Pinocchio di Enzo D’Alò per cui aveva creato i personaggi e le scenografie. Benedetto dai francesi, impegnati in maggioranza nella produzione, è un film che intercetta il mondo degli adulti per la sua capacità di porsi quale metafora politica sull’utopia di un’armonia tra diversi (orsi e uomini) ma anche quello dei bambini per la ricerca di un disegno evocativo e aperto alle possibilità del sogno.

Assistito dai più esperti Jean-Luc Fromental e Thomas Bidegain, Mattotti, rispetto al racconto di Buzzati, ha creato una cornice affidata a un cantastorie siciliano che, insieme a una ragazzina, narra la storia a un solo spettatore, inventato anche questo ex novo: un vecchio orso, la cui misteriosa identità sembra svelarsi implicitamente, chiamato a incarnare la memoria di una comunità e la sapienza dell’esperienza. In francese ha la voce di Jean-Claude Carrière, in italiano di Andrea Camilleri.

Se i temi toccano i lati oscuri del potere nella parabola politica disponibile a più letture (ecologismo, golpismo, la città ideale, popolo contro élite…), l’impatto visivo è qualcosa che di rado abbiamo l’occasione di vedere nel cinema d’animazione europeo (in Italia praticamente non esiste): tra curve e morbidezze nella prospettiva di un gotico soave, lo stile si esprime con una libertà creativa incredibile, con suggestioni che abbondano dalla metafisica di De Chirico alle astrazioni concettualiste passando per rimandi giapponesi e antropomorfismi perturbanti (gli orsi squadrati, De Ambrosis reso quasi insetto).

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Grazie al dinamismo dell’avvolgente regia, il film si propone anzitutto come un’esperienza immersiva fuori dal tempo, in cui i colori smaglianti si rivelano in vertigini inattese creando forme nuove e sorprendenti. Benché qua e là serpeggi l’impressione di qualche attenzione di troppo al “messaggio allegorico” a scapito della fluidità di una narrazione più libera, per essere un’opera prima è davvero notevole, una fiaba che travalica le epoche e si rivolge al cuore e alla mente di un pubblico senza età.

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