In viaggio con papà | Alberto Sordi (1982)

Progetto Sordi, le puntate precedenti:

  1. Gastone di Mario Bonnard (1960)
  2. Domenica è sempre domenica di Camillo Mastrocinque (1958)
  3. Io so che tu sai che io so di Alberto Sordi (1982)
  4. Il boom di Vittorio De Sica (1963)
  5. Le coppie di Mario Monicelli, Alberto Sordi, Vittorio De Sica (1970)
  6. Racconti d’estate di Gianni Franciolini (1958)
  7. Il diavolo di Gian Luigi Polidoro (1963)
  8. Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy (1971)
  9. Ladro lui, ladra lei di Luigi Zampa (1958)
  10. La vedova elettrica di Raymond Bernard (1958)
  11. Tutti a casa di Luigi Comencini (1960)
  12. I nostri mariti di Luigi Filippo D’Amico (1966)
  13. Piccola posta di Steno (1955)
  14. Nestore, l’ultima corsa di Alberto Sordi (1993)
  15. Crimen di Mario Camerini (1960)
  16. Accadde al commissariato di Giorgio Simonelli (1954)
  17. L’ingorgo di Luigi Comencini (1979)
  18. Il seduttore di Franco Rossi (1954)
  19. Il prof. dott. Guido Tersilli…, di Luciano Salce (1969)
  20. Venezia, la luna e tu di Dino Risi (1958)

«In fondo cos’era», mi fa notare Carlo Verdone, «un padre che se non fosse andato il figlio a rompergli i coglioni se ne sarebbe continuato a fregare di lui». Gli avevo chiesto se ci fosse un legame tra l’emersione della sua generazione (e di Nanni Moretti e Massimo Troisi) e il tramonto di quella dei colonnelli della commedia all’italiana, tra quei giovani attori-registi che si ponevano anzitutto come figli in dialettica coi genitori e i cinquantenni che dacché presidiavano il grande schermo erano sempre stati adulti perché la giovinezza l’avevano trascorsa sotto le bombe.

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Mentre i colonnelli cercavano di guadagnare terreno interpretando padri al bivio (Un borghese piccolo piccolo, In nome del Papa re, Caro papà, La tragedia di un uomo ridicolo…), i cosiddetti malincomici portavano un nuovo mondo fatto di fragilità e inquietudini, un nuovo rapporto con le donne memore della temperie femminista e la ricerca di un posto nel mondo. Moretti e Verdone sono, a loro modo, entrambi figli di Alberto Sordi: l’uno ovviamente più riottoso, spavaldo, ribelle, iconoclasta; l’altro ammirato, rispettoso ma distante.

Se per Moretti Sordi era l’esponente massimo di un cinema qualunquista e ammiccante, ipocrita e borghese, Verdone – che del divo era stato vicino di casa da piccolo – l’adorava senza riserve. Sordi capì la potenza discreta di colui che è generalmente (ed erroneamente) considerato il suo erede – condividono l’origine romana e la capacità di interpretare l’humus urbano, nulla più – e volle benedire l’ideale genealogia in un film. E Verdone accettò con tutta la devozione possibile.

Alla luce della lettura di Verdone, una storia tutto sommato convenzionale come quella di In viaggio con papà rivela in realtà uno spunto interessante: c’è un padre stronzo, ricco, puttaniere e anaffettivo che non ha alcun vero legame con il figlio candido se non fesso, goffo, bamboccione. Il figlio ne soffre perché la latitanza del padre l’ha reso succube dunque pauroso delle figure femminili; il padre magari pure soffre, ma non sa dimostrare un’eventuale sofferenza perché troppo impegnato ad autorappresentarsi quale gallo italico.

Se la relazione tra gli attori poteva essere perfetta, visti lo spirito prevaricante di Sordi e l’animo dimesso di Verdone, il problema era nel manico: la sceneggiatura. Rodolfo Sonego, storico sodale di Sordi, si defilò appena capì che quei due attori-autori, in piena luna di miele, volevano fare tutto di testa loro. Sordi, poi, ebbe la sciagurata idea di essere anche regista, e dio solo sa quanti danni ha fatto il regista Sordi all’attore Sordi.

Insomma, alla fine, stringi stringi, In viaggio con papà risente di tutti i difetti del cinema di Sordi degli ultimi anni: la sciatteria della messinscena, la rozzezza della confezione, il taglio troppo lungo, la centralità del divo convinto di poter sopperire alle mancanze circostanti, una storia che gira un po’ a vuoto costruendo personaggi desiderosi di abitare contesti meno banali. Si percepisce il disagio di Verdone: onorato di lavorare col suo mito, consapevole della mediocrità del film. Meno quello di Sordi, forse convinto di intercettare un nuovo spettatore – o, con notevole acume critico, dimostrare la convergenza dei due pubblici.

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Un’operazione strana, benedetta da un altro romano di peso come Sergio Leone, primo produttore di Verdone, sicuramente incompiuta, poco risolta, un po’ buttata lì. (ma siamo sicuri che sarebbe potuto essere qualcosa di diverso se fosse stato in mano a qualcun altro?). La riunione di famiglia è il pezzo che funziona meglio, così come certi dialoghini tra padre e figlio. Il road movie, invece, ha il fiato corto di chi non conosce la meta, si preoccupa giusto che la carrozzeria sia lucida e non controlla né la benzina né i vetri sporchi. Tuttavia è diventato un cult, certo più per il grande impatto della nuova coppia.

IN VIAGGIO CON PAPÀ (Italia, 1982) di Alberto Sordi, con Alberto Sordi, Carlo Verdone, Giuliana Calandra, Edy Angelillo, Ugo Bologna, Tiziana Pini, Angelo Infanti, Flora Clarabella. Commedia. **

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