È quasi un genere a sé, il Simenon-movie. Oppure magari un filone, ecco. Ampiamente saccheggiata dal cinema, l’opera del sommo Georges non si limita alla serie del commissario Maigret, ma si esprime in episodi in apparenza distanti gli uni dagli altri eppure uniti da elementi comuni che ne rivelano il carattere umbratile e il tono di chi sembra conoscere tutti i segreti del mondo, l’umore molesto e il ritmo incalzante di una narrazione che incrocia provinciale e universale.
Non fa eccezione Le chat, in italiano corredato d’un sottotitolo di rara idiozia che intende evocare il clima polar tipico del tardo Jean Gabin, corpo per eccellenza del cinema simenoniano. Di implacabile qui c’è solo l’incedere di un film cupo e tormentato, in cui il divo più rappresentativo di Francia è affiancato da Simone Signoret, in una certa misura la controparte femminile di una certa idea di cinema, più giovane di lui ma già sfiorita e più matura dei suoi circa cinquant’anni.
In una periferia dilaniata dai lavori in corso, prossima a una brusca trasformazione urbanistica, abita una coppia che sa di dover sloggiare per lasciar spazio al nuovo che avanza (ma non ha alcuna intenzione di sgombrare l’immobile destinato alla distruzione). Sono due vecchi, incattiviti, un po’ meschini e si odiano. Lui ex tipografo; lei trapezista che ha dovuto lasciare il lavoro per un infortunio fatale. Fanno la spesa separati, mangiano senza guardarsi negli occhi, si vomitano addosso tutta la rabbia accumulata in troppi anni di matrimonio infelice. Comunicano, ogni tanto, attraverso bigliettini che si lanciano da una poltrona all’altra.
Lei odia il gatto che fa compagnia a lui nel silenzio di una casa priva di vita, piena di cimeli del passato. Il gatto del titolo è il segno della loro incomunicabilità, il simbolo di una crisi irreversibile, la bestia che con passo felino e insinuante strisciano sulle macerie di un amore ormai più simile all’odio. Un evento dirompente convince lui ad abbandonare il tetto coniugale, mentre lei, gelosa e disperata, cerca la possibilità di un estremo contatto.
Se appaiono struggenti gli incontri al parco, è proprio tutto il film a portarsi dietro tutta l’amarezza e il disincanto di due attori in grado d’incarnare come pochi altri il gravoso peso del passato e la dolente assenza di futuro. Diretto con mano ferma senza concessioni al patetismi, abitato da corpi decadenti e ammalianti e scandito dal ritmo delle trivelle che frantumano i rifiuti, Le chat è una trenodia a un mondo in dissoluzione, un film di relitti e derelitti, un canto funebre che fa quasi male per la capacità di trasmettere autenticità e dolore. I mastodontici Gabin e Signoret premiati a Berlini con l’Orso d’Argento.
LE CHAT – L’IMPLACABILE UOMO DI SAINT GERMAIN (LE CHAT, Francia-Italia, 1971) di Pierre Granier-Deferre, con Jean Gabin, Simone Signoret, Annie Cordy, Jacques Rispal, Harry Max, Carlo Nell. Drammatico. ***