Recensione: L’inganno perfetto

L’INGANNO PERFETTO (THE GOOD LIAR, U.S.A., 2019) di Bill Condon, con Helen Mirren, Ian McKellen, Russell Tovey, Jóhannes Haukur Jóhannesson, Jim Carter. Thriller. ***

Al loro primo appuntamento, Roy e Betty vanno al cinema, che all’interno di un film è sempre una scelta piuttosto indicativa. Uscendo dalla proiezione di Bastardi senza gloria, i due discutono sull’opportunità di piegare gli eventi storici al romanzesco, in quel caso perfino ribaltandoli. Tutto legittimo nell’ottica del cinema peraltro maiuscolo, ma quanto sono coscienti i giovani spettatori di avere a che fare con una verità falsata dalle esigenze narrative?

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Non si tratta – come nel recente The Report dove si fanno le pulci a Zero Dark Thirty – di una polemica contro Quentin Tarantino, certamente. L’inganno perfetto usa un film conosciuto e del tutto particolare per il suo finale così eclatante per seminare nel pubblico il seme del sospetto. Per Bill Condon è ancora un questione di demoni e dei, dove i secondo sono solo demoni travestiti e nascosti sotto le sembianze di angeliche vittime del destino.

In realtà, a ben vedere, è lo stesso film a essere un “falso”, diciamo così, “geografico”. Una produzione americana ambientata a Londra che gioca con le marche tipiche di quel non-genere che è il “movie for senior”: eterno ritorno del passato, la seconda guerra mondiale come spartiacque di vite, le strade eleganti, le star anziane. Qui ci sono due pesi massimi come Helen Mirren e Ian McKellen, per la prima volta insieme, che gigioneggiano con impareggiabile classe.

Se lei sta lentamente togliendo a Judi Dench il primato di regina del filone, misurandosi sempre con ruoli femminili âge di indiscutibile spessore e davvero gustosi per la spesso imprevedibile stratificazione emotiva, Ian McKellen gioca ad ammiccare alle perversioni insite alla sua maschera cinica e sorniona, recuperando quelle suggestioni nere sottolineate dallo stesso Condon nell’indimenticato Demoni e dei e nel post-nazi horror L’allievo.

L’inganno perfetto inizia come una commedia birichina: due anziani s’incontrano grazie a un sito di dating e intraprendono un’affettuosa amicizia fatta di condivisione di tempo libero ma non di sesso (lui entra in camera di lei di notte ed esce con un due di picche, pur educatissimo). La verità è naturalmente un’opinione: Roy è un truffatore che accalappia vecchie e ricche signore desiderose di attenzioni per raggirarle, proponendo investimenti fraudolenti con l’obiettivo di succhiarne le risorse economiche.

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Tutto sembra procedere per il verso giusto, nonostante qualche cadavere lasciato per strada (con una simpatica citazione del più spietato Frank Underwood di House of Cards), ma le sorprese sono dietro l’angolo. Forse un po’ troppo, perché il sovraccarico di rivelazioni dell’ultima parte è da una parte assai intrigante per la densità romanzesca eppure dall’altra quasi sintomo di una mancanza di fiducia nel potenziale machiavellico dei due personaggi, mettendo in campo una serie di elementi che intrappolano il film in un funzionamento sì scoppiettante ma anche macchinoso.

Al netto di ciò, L’inganno perfetto sa essere l’occasione per un passatempo saporito e in fondo leggero nonostante la virata tragica del secondo tempo. Mirren e McKellen si divertono e divertono, Condon ritrova lo smalto che non sempre dimostra e, zitto zitto, il film svela qua e là certe letture non banali sulla storia ufficiale raccontata al cinema, sulla verità dei fatti ridotta a punto di vista di una parte, sui contraccolpi della menzogna nel battere e levare delle relazioni umane.

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