Recensione: Tolo Tolo

TOLO TOLO (Italia, 2020) di Checco Zalone, con Checco Zalone, Souleymane Sylla, Manda Touré, Nassor Said Birya, Alexis Michalik, Arianna Scommegna, Antonella Attili, Gianni D’Addario, Nicola Nocella, Diletta Acquaviva, Maurizio Bousso, Sara Putignano, Barbara Bouchet, Nicola Di Bari. Commedia. ** ½

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Finché c’è Checco c’è speranza, parafrasando uno dei chiari riferimenti dell’opera prima di Luca Medici, messosi in proprio dopo la separazione da Gennaro Nunziante. Ci ha provato con Paolo Virzì, chiamato come imprevedibile autore e in seguito rimasto solo sceneggiatore: troppo ingombrante la maschera di Checco, troppo corpo a sé per farsi gestire da un regista che sa dirigere gli attori come pochi in Italia e tra i pochi a vantare un’autorevolezza nella commedia di costume.

Il matrimonio previsto è rimasta un’unione di fatto, Luca Medici si è messo dietro la macchina da presa e la produzione di Tolo Tolo è durata qualcosa come due anni, arrivando in sala un anno dopo la data prevista peraltro con gravi problemi di postproduzione (il sonoro, dio santo, il sonoro). Superficialità dettata dalla fretta? Pressapochismo tanto sotto ai 50 milioni non si va? Semplice incuria dovuta a non so bene cosa?

Sta di fatto che il film, nonostante i milioni raccolti finora lo rendano tra i più grandi successi italiani di sempre, non sta funzionando: apprezzato dalla critica ufficiale, strumentalizzato dalla sinistra democratica e boicottato dalla destra cialtrona, Tolo Tolo è soprattutto tre cose. La prima: un’operazione commerciale che ha fatto a meno del trailer preferendo una canzone polarizzante, Immigrato, talmente efficace da convincere i sovranisti che si trattasse di una critica al business dell’immigrazione, al politicamente corretto eccetera eccetera.

La seconda: un atto politico. Prima Medici e Virzì attirano il pubblico “naturale” di Checco, cioè il ceto medio-basso post-berlusconiano deluso dai cinque stelle e ormai salvinian-meloniano, opportunista, meschino, interessato a trovare la scorciatoia per fregare il prossimo, contento di compiacersi della propria ignoranza. Poi lo lusinga con qualche battuta di repertorio e, all’improvviso, lo schiaffeggia, lo percuote, lo prende sostanzialmente per il culo (il fascismo come la candida è una bella idea). Perché lo fa?

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Perché, molto banalmente, Medici non è Checco. Il suo problema, tuttavia, è che Medici non è altro che Checco. E se da una parte non si può che apprezzare il coraggio di azzardare risultando sgradevole agli spettatori ideali (non mi sorprenderei se non superasse i 50 milioni, considerato che Quo vado? arrivò a 64 e il già politicamente problematico Sole a catinelle a 51), dall’altra c’è da dire che – oltre a una maggiore compattezza narrativa che avrebbe certo garantito più rapida fluidità come nei film con Nunziante – l’operazione rischia di farlo uscire con le ossa rotte.

Tolo Tolo non fa ridere come i precedenti, nella misura in cui la risata non è scatenata con quegli oliati meccanismi comici. Non è pensato solo per la fruizione frammentaria per sketch, non è sempre citabile fuori contesto. Funziona più in Italia, tra parenti esasperati e politici per caso, che in Africa, ha un finale animato che lascia davvero perplessi, un repertorio musicale di prim’ordine da De Gregori a Mino Reitano passando per Nicola Di Bari (che è anche lo spietato zio in carrozzella).

Ma, e qui sta la terza cosa, Tolo Tolo è anche un work in progress, che non ha la stessa coscienza della fine del sé-maschera e dell’inizio del sé-icona né il medesimo tono comico-patetico di La vita è bella, da più parti citato come calco dell’operazione. È il tentativo da parte di Medici di inserire Checco nella tradizione della cosiddetta commedia all’italiana, trasformandolo via via in un personaggio da sviluppare entro meccanismi che non siano semplicemente usa-e-getta.

In realtà, Checco è sempre stato questa roba qua, un incrocio spiazzante tra Lino Banfi e Nanni Moretti, ma stavolta Medici recupera l’aura da buon selvaggio di Adriano Celentano e sceglie di contaminarlo con lo spirito di Alberto Sordi, dando vita a un carattere al contempo simpatico e fastidioso, italiano medio in purezza, che spinge la maschera di Checco in territori meno facili e dunque più intriganti. La stessa scelta dell’Africa è indicativa, terra esotica trasformata negli anni in miniera d’oro dei trafficanti.

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Tolo Tolo si pone a metà tra l’avventura esotico-disorientante di Riusciranno i nostri eroi… e la satira pessimista di Finché c’è guerra c’è speranza, riprendendo le atmosfere terzomondiste di Muzungu senza dimenticare l’acidità di Nel continente nero, nella zona di sguardo “popolare” tra Pasquale Festa Campanile e Sergio Corbucci. Un film incompiuto e incompleto, spesso non all’altezza dei soldi spesi, ma che è molto meno scontato di quanto si possa credere. Un riavvio, una ripartenza. Un salto nel vuoto?

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