FIGLI (Italia, 2020) di Giuseppe Bonito, con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Stefano Fresi, Giorgio Barchesi, Valerio Aprea, Daria Deflorian, Paolo Calabresi, Babkar Karimi, Elisabetta Angelin, Oscar Farinetti, Andrea Sartoretti, Massimo Di Lorenzo, Luca Amorosino, Betty Pedrazzi, Carlo De Ruggieri, Fabio Traversa. Commedia drammatica. ****
«Non so più se ti amo!». Eccola, nei litigi dettati dai nervi a fior di pelle, la frase che determina la cifra di Figli. Il cuore che batte nonostante le crepe, l’anima ammaccata di un noi messo alla prova. In realtà c’è già tutto nell’incipit: le parole dello scontro invadono il quadro nero dei titoli di testa, la casa è il terreno di battaglia, la primogenita usa l’odiato fratello neonato per richiamare l’attenzione. E, all’apice della diatriba, Paola Cortellesi fissa la finestra e si butta nel vuoto.
Stacco. Si tratta naturalmente di una fuga onirica, come capita spesso in questo Figli, che sceglie lo spazio bianco per raccontare la complessità del mondo, isolare i tipi umani che elenca per rendere conto di quanto siamo uguali nell’apparente diversità. Una fuga nel bianco, un sogno che mal cela l’incubo del distacco, che abbiamo già visto in La linea verticale, dove nel rumore sordo del candore inquieto si rifugiava il malato per ripensare se stesso all’interno della faglia tra la vita e la morte. Qui la faglia è tra la felicità supposta e il timore dell’infelicità.
I figli ti invecchiano, recitava il monologo di Mattia Torre all’origine di questo film spiazzante e malinconico. Dalle frasi avviluppate in quel monologo, ha costruito una non-storia che libera la commedia dalla dittatura dell’intreccio, sviluppando una serie di momenti che costituiscono i frammenti di un discorso amoroso e familiare struggente nella sua lucida ironia. Figli è un film di Mattia Torre, così come Amici miei, diretto da Mario Monicelli, lo era di Pietro Germi.
Non possiamo negarlo: la morte di Torre ha reso questo film ancor più emozionante, ponendosi inevitabilmente come il testamento di un autore penetrante e gentile, voce unica nella drammaturgia umoristica. Figli è la sintesi della sua poetica: la fissa sulla ristorazione come unica via di salvezza (la dice Valerio Aprea, convocato assieme ad altri torriani di ferro, in particolare la banda Boris) e il cuore che si fa sempre più grande per ospitare altri amori (il figlio in arrivo), gli scherzi coi santi mettendo in campo proiezioni pseudo-divine e abbracci inattesi scendendo dall’autobus, ipotetici sprazzi di musical comico e mélo oltre la finestra della cucina.
Figli è una commedia adulta che somiglia a poche altre nel cinema italiano: una versione meno autoreferenziale del microcosmo emozionale di Nanni Moretti al crocevia dell’universo della comicità romanocentrica qui ampiamente rappresentata. Arriva dove non arrivava Momenti di trascurabile felicità (altro film che partiva da schegge personali in grado di rappresentare comunità), ha una cura rara per l’immagine (fotografia di Roberto Forza) e un ritmo che non corre dietro alla fretta (montaggio di Giogiò Franchini).
E se il merito va ascritto anche al controllo garantito dalla regia di Giuseppe Bonito (altro amico di Torre, già nell’orbita Boris), Figli ridà smalto a una Paola Cortellesi mai così brava nel calibrare nervosismo e empatia e cavalca la dolce umanità frangibile e ammaccata di Valerio Mastandrea. Trova la sua casa nei disegni della bambina, nel Titanic del giorno dopo, nelle lacrime che non sgorgano per orgoglio, nelle serata da soli per vedere l’effetto che fa. Bellissimo.