Il disco volante | Tinto Brass (1964)

Progetto Sordi, le puntate precedenti:

  1. Gastone di Mario Bonnard (1960)
  2. Domenica è sempre domenica di Camillo Mastrocinque (1958)
  3. Io so che tu sai che io so di Alberto Sordi (1982)
  4. Il boom di Vittorio De Sica (1963)
  5. Le coppie di Mario Monicelli, Alberto Sordi, Vittorio De Sica (1970)
  6. Racconti d’estate di Gianni Franciolini (1958)
  7. Il diavolo di Gian Luigi Polidoro (1963)
  8. Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy (1971)
  9. Ladro lui, ladra lei di Luigi Zampa (1958)
  10. La vedova elettrica di Raymond Bernard (1958)
  11. Tutti a casa di Luigi Comencini (1960)
  12. I nostri mariti di Luigi Filippo D’Amico (1966)
  13. Piccola posta di Steno (1955)
  14. Nestore, l’ultima corsa di Alberto Sordi (1993)
  15. Crimen di Mario Camerini (1960)
  16. Accadde al commissariato di Giorgio Simonelli (1954)
  17. L’ingorgo di Luigi Comencini (1979)
  18. Il seduttore di Franco Rossi (1954)
  19. Il prof. dott. Guido Tersilli…, di Luciano Salce (1969)
  20. Venezia, la luna e tu di Dino Risi (1958)
  21. In viaggio con papà di Alberto Sordi (1982)
  22. Un eroe dei nostri tempi di Mario Monicelli (1955)
  23. Il conte Max di Giorgio Bianchi (1957)
  24. Le fate di Antonio Pietrangeli (1966)
  25. Mi permette, babbo! di Mario Bonnard (1956)
  26. I due nemici di Guy Hamitlon (1961)
  27. Mio figlio Nerone di Steno (1955)
  28. Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata di Luigi Zampa (1971)
  29. Il giudizio universale di Vittorio De Sica (1961)
  30. Lo sceicco bianco di Federico Fellini (1952)
  31. Finché c’è guerra c’è speranza di Alberto Sordi (1974)
  32. Totò e i re di Roma di Steno e Mario Monicelli (1952)

C’è sempre quel matto di Rodolfo Sonego dietro i film più assurdi di Alberto Sordi, e purtroppo c’è anche quando, nella fase calante del divo romano, assecondava anche le idee peggiori. Qui l’estro dello scrittore veneto mette a disposizione di Sordi una delle ultime follie un secondo prima della (auto)monumentalizzazione, un tentativo di fantascienza al crocevia della commedia all’italiana. Siamo, d’altronde, nel decennio dei congressi interspaziali, della ricerca di incontri ravvicinati del terzo tipo dopo la psicosi americana della guerra dei mondi (traduzione paranoica del conflitto con i sovietici).

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Dino De Laurentiis, il produttore-padrone di Sordi, sottopone il curioso soggetto nientemeno che a Michelangelo Antonioni, invano. Rifiuta anche il meno schizzinoso Mario Monicelli. Allora, forse galvanizzato dall’operazione Diavolo, affida la patata bollente a un regista poco ingombrante. Si chiama Tinto Brass, è un giovane veneziano che ha appena presentato alla Biennale un’opera prima incandescente e schizofrenica, Chi lavora è perduto, montato (leggi: riscritto) dall’amico Franco Kim Arcalli.

De Laurentiis fa due calcoli: Brass è un veneto matto come Sonego, Sordi è un genio e fa tutto ciò che dice Sonego, proviamoci. Ci mette dentro anche un terzetto femminile da grandi occasioni: la moglie Silvana Mangano (piccola parte, ottima per la sua pigrizia); la diva calante Eleonora Rossi Drago; e la musa dello stesso Antonioni, Monica Vitti, che l’anno prima in un episodio di Alta infedeltà ha dato prova di essere un’ottima commediante.

Il disco volante è tante cose, un po’ tutto e un po’ niente, un’interessante sciocchezza e un atto mancato, ma è sicuramente l’one man show di Sordi, in una certa misura la sua versione del Mattatore di Vittorio Gassman. Impegnato in quattro ruoli (su insistenza di Brass), Sordi sfodera un dialetto improponibile dunque efficace che mette in luce la miseria umana del nordest (in questo senso la satira è accordata sia a Sonego che a Brass, irregolari di sinistra), interagisce con se stesso, domina la scena imponendo la propria arrogante e splendente solitudine in un trionfo di supremo macchiettismo.

Siamo nel trevigiano caro a Luciano Vincenzoni, ma l’orizzonte non è quello ipocrita borghese quanto piuttosto quello paesano. Alcuni contadini avvistano un disco volante. Un brigadiere indaga ma nessuno gli dà retta, mentre una contadina cattura l’alieno e lo cede all’ambiguo nobile del posto. A poco a poco, tutti coloro che entrano in contatto con l’ospite inatteso finiscono per impazzire e vengono rinchiusi in manicomio. Un po’ troppo facile, diciamo.

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Qua e là feroce, ogni tanto corrosivo, Brass non sa bene come prendere la situazione. Prima si misura con il finto documentario, giocando con le marche dell’inchiesta televisiva azzardando spunti realistici da neorealismo di ritorno con gli interventi dei veri contadini, in tutta la loro compiuta ignoranza. Poi si lascia travolgere dall’impeto del protagonista quadruplicato, cercando qualcosa di assimilabile alla farsa da fumetto, perfino un sentore di commedia inglese per lo sguardo che si vorrebbe non complice con i personaggi.

L’orgia nella villa annuncia le passioni future, ma al montaggio il film risente di una certa tensione autocensoria (c’è più disordine narrativo per occultare incomprensioni con De Laurentiis che divertimento schietto e bizzarro su una paranoia collettiva) nonché di un sentore di flirting with disaster. D’altronde si trattava della strenna natalizia di Sordi, non si poteva rischiare più di tanto. Fu un discreto flop e Brass entrò nell’orbita underground, prima di gettarsi nell’erotismo più esplicito.

IL DISCO VOLANTE (Italia, 1964) di Tinto Brass, con Alberto Sordi, Monica Vitti, Silvana Mangano, Eleonora Rossi Drago, Gianluigi Crescenzi, Alberto Fogliani, Liana Del Balzo, Carlo Mazzarella, Lello Bersani. Commedia fantascienza. ** ½

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