LA PARTITA (Italia, 2019) di Francesco Carnesecchi, con Francesco Pannofino, Alberto Di Stasio, Giorgio Colangeli, Gabriele Fiore, Stefano Ambrogi, Francesco Sabatucci, Francesca Antonelli, Livia Vitale, Daniele Mariani, Simone Liberati. Commedia. **
Non si capisce bene da che parte voglia andare, La partita, opera prima di Francesco Carnesecchi che sfida il Coronavirus ed esce in sala mentre quasi tutti gli altri film sono stati rinviati. Approfitterà forse della moria generale per emergere? È un po’ come il film stesso: vorrebbe ma non può. A chi si rivolge? A che tipo di pubblico parla? Quale costellazione segue? Domande oziose ma nemmeno troppo perché, insomma, c’è confusione in campo.
La cornice è quella del calcio di periferia, rappresentato da una squadra, lo Sporting Roma, che, come leggiamo nell’incipit, non ha mai vinto niente. In una domenica di maggio, con il caldo afoso che sfianca i corpi, si disputa la finale di un torneo semi-dilettantistico. L’allenatore (sempre sopra le righe, Francesco Pannofino, diciamocelo, a parte qualche rara occasione, è un bravissimo doppiatore che non rende come attore), presto maturo papà, desidera una vittoria, ma il bomber della squadra sembra avere latro per la testa.
Il contorno pullula di varia e avariata umanità, un po’ a bordocampo e un po’ nelle case altrove, dal malridotto presidente prossimo al fallimento finanziario (Alberto Di Stasio, solito fuoriclasse) alla famiglia del bomber tra impegni non ottemperati e voglia di rivalsa. Sullo sfondo, le scommesse clandestine gestite da (im)prevedibili loschi figuri mette in crisi i destini dei protagonisti. Come si fa la matriciana?
All’origine c’è un corto, e si vede, si sente. Il collage di situazioni dà l’idea di un’antologia di piccole storie accidentalmente incrociatesi in un lungometraggio. Dove manca la compattezza, interviene il bizzarro. Quando sembra esserci qualche giro a vuoto di troppo, ecco lo scatto verso l’eccesso. Che il calcio non sia l’argomento di più facile trattazione nel cinema italiano è cosa nota ma non alibi, dacché ne La partita più che il calcio in sé conta il calcio come contesto.
Al netto di qualche suggestione poco sviluppata (su tutte, i duetti di Pannofino e Di Stasio che danno brividi di Boris, dov’erano il regista René e il produttore Sergio), i troppi voli del drone sorvolano una Roma sì contraddittoria ma presente forse solo nella parlata dei personaggi e il registro del film si fa più esasperato che weird: strizzatine d’occhio a avanzi di pulp, cedimenti ammiccanti alla moda pop della canzone iconica che riempie i vuoti d’aria, colori insudiciati per rincorrere un’autenticità filtrata dalla stilizzazione grottesca… ma anche no, ecco.