VITA SEGRETA DI MARIA CAPASSO (Italia, 2019), di Salvatore Piscicelli, con Luisa Ranieri, Daniele Russo, Luca Saccoia, Marcella Spina, Roberta Spagnuolo, Nello Mascia, Antonio De Matteo, Anna de Nitto, Antonella Stefanucci, Francesca Romana Bergamo. Noir. *** ½
C’è sempre un singolare femminile nel cinema discontinuo e sempre travolgente di Salvatore Piscicelli, che quest’anno festeggia il quarantennale di una carriera iniziata subito col botto, Immacolata e Concetta, l’altra gelosia, un capolavoro bruno e maledetto che ibridava Fassbinder con la sceneggiata, tra i più straordinari e crudeli melodrammi del nostro cinema.
Ed è un peccato che questo regista defilato e poco fortunato – emerso un minuto prima della new wave partenopea e un minuto dopo il costante riflusso napoletano – non abbia avuto gli spazi necessari per meglio declinare il suo sguardo così preciso nel definire gli orizzonti e le occasioni di donne incasellabili, eroine periferiche di una temperie mediterranea ostile agli stereotipi e ai luoghi comuni, madonne laiche e puttane sante che disperatamente tendono a una felicità impossibile.
Come una meteora, Piscicelli riappare con un film piccolo eppure enorme, che sin dai titoli di testa su Splendido splendente rivendica un’adesione al popolare certo non accostabile all’ormai consueto furbo saccheggio del canzoniere italiano né catalogabile come gesto ammiccante di un autore che cerca il favore del pubblico. Anche perché Vita segreta di Maria Capasso fa di tutto per non farsi piacere, sia ai (presunti) dotti proseliti della bella immagine sia agli occasionali sedotti dalla trama.
Il suo fascino, tuttavia, è proprio qui: al contempo noir luminoso e mélo spudorato, con momenti che nelle mani di registi meno consapevoli delle conseguenze del peccato e della vergogna sarebbero stati facili scult ai limiti del kitsch. E che qui, invece, appaiono per ciò che sono: dirette emanazioni di un’idea di cinema che esplora l’esplosione sentimentale di matrice matarazziana, la repressa sensualità di Augusto Genina, le zone d’ombra del femminile secondo Vittorio Cottafavi e via dicendo.
I limiti del budget sono evidenti, così come la scelta di uno sguardo tutto immerso nella carnalità di una donna-epicentro come la sfuggente, sfaccettata, spiazzante Maria Capasso di Luisa Ranieri, novella Ida Di Benedetto, incredibile nell’incessante oscillare tra maternità accogliente e pulsioni erotiche, presa di coscienza e gestione del proprio corpo. Un personaggio ancestrale e moderno, oggetto respingente perché troppo attraente ma anzitutto soggetto dominante in una machiavellica partita a carte con il maschile.
Rimasta vedova e messa alla porta dal suocero, proprietario dell’appartamento in cui vive con i tre figli, in seguito alle voci che la vogliono amante di un cliente, la manicure napoletana Maria asseconda l’offerta del ricco amante e porta un carico di droga in svizzera. È l’inizio di un’ascesa criminale che è anche un’avventura urbanistica in una città verticale, un catalogo di ambienti domestici sempre più paradigmatici, un repertorio di topos melodrammatici tra il pop e la tradizione. Gran finale, gran film.