MAGARI (Italia-Francia, 2019) di Ginevra Elkann, con Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Brett Gelman, Benjamine Barroche Oro De Commarque, Céline Sallette, Milo Roussel, Ettore Giustiniani, Florinda Bolkan. Commedia drammatica. **
«Scrivi di quello che sai», recita l’antico e sempre valido avvertimento degli sceneggiatori della vecchia scuola ai giovani cinematografari, quelli che sapevano (o sanno, ma sono pochi ormai) che le cose forse più trattabili per un esordiente si trovano nella vita quotidiana, nelle mille strade aperte dalle parabole familiari, nei ricordi accumulati in qualche parte del cuore. Ginevra Elkann pare aver preso alla lettera la lezione; e per di più ha scelto un titolo, Magari, ammiccante nello spirito (tenerezza, nostalgia, malinconia) quanto spericolato per tutto ciò che comporta.
Facile, troppo facile fare le pulci all’opera prima di una debuttante che fa parte di quella famiglia lì, non fosse altro per l’ineluttabile invidia sociale, su. E però Elkann è in realtà donna di cinema ben più solida di quel che dice l’ingombrante cognome: un battesimo del fuoco come assistente di Bertolucci sul set de L’assedio e poi illuminata produttrice e distributrice di cinema d’autore con la fu Good Films (ha portato in sala, tra gli altri, Nymphomaniac, Mommy, Mektoub My Love, The Lobster, Salvo, Incompresa, Locke…).
Poiché Elkann non risponde al profilo della sprovveduta borghese annoiata finita dietro la macchina da presa per ammazzare il tempo o esaltare il proprio ego, è un po’ antipatico rilevare che, nei temi e nell’apprccio, Magari corrisponde invece in tutto e per tutto a un raccontino chiuso, elitario, quasi pensato solo per il suo ceto. Autofiction senza troppe perifrasi scritta assieme a Chiara Barzini (rampolla di un altro clan dei piani alti della nazione), è praticamente la cover della vita dei tre fratelli Elkann, complessi e complessati figli di genitori separati.
La mamma, per via del nuovo marito, si è votata alla religione ortodossa e cresce i bimbi a Parigi. Il papà (Riccardo Scamarcio, in un ruolo che gli calza a pennello) è assente e ha velleità registiche. Le case sono benestanti siano esse severe o bohémien, i cani si chiamano Tenco e Dalida, le nonne sono sempre ben vestite (fantasmagorica, fugace, inattesa apparizione di Florinda Bolkan, già partner di Marina Cicogna, versione femminile del nonno di Ginevra, Gianni Agnelli): lo stesso ambiente raccontato nello specchio deformato di Vacanze di Natale fruito in televisione, controcanto un po’ snob che vorrebbe leggere il contesto familiare attraverso una ironica prospettiva tridimensionale.
Sì, perché Magari desidera anzitutto d’esser la commedia sentimentale che non può essere, per fiato corto e paradossale timidezza, schivo e tripartito coming of age che si rifugia nei soliti anni Ottanta – consumata età dell’oro della nostra nostalgia: finirà mai questa moda? – con un tono molto francese, rincorrendo madeleine sulle note del solito pop italiano (vezzo fatale del nostro cinema: qui ci sono, puntuali come una tassa da pagare alla memoria del cuore, Stella stai e Sarà perché ti amo, ma anche Prima di andare via di Riccardo Sinigallia, anche responsabile dello score).
Il vero sguardo del film è dato dalla sinfonia interiore dettata dal montaggio di Desideria Rayner, come sempre esaltante nel cucire immaginazione e realismo, sogno e destino. Ma forse una maggiore fiducia al senso nascosto di quel magari che ipotizza vite possibili (le foto delle cerimonie come tableau vivant disponibili al ripensamento) avrebbe giovato a un film che non sa offrire all’io la possibilità di farsi noi. Le intenzioni sono rispettabili ma il passo è fiacco, la confezione elegante ma il confezionato un po’ troppo inerme: peccato.