GEORGETOWN (U.S.A., 2018) di Christoph Waltz, con Christoph Waltz, Vanessa Redgrave, Annette Bening, Corey Hawkins, Noam Jenkins. Biografico drammatico. ** ½
Naturale – fin troppo? – che un istrione del calibro di Christoph Waltz si appassionasse a una figura di orrido impostore come quella di Albrecht Muth, ciarlatano che si spacciava riuscì a sposare la ricca socialite Viola Herms Drath, di oltre quarant’anni più anni, approfittando della sua vasta rete di rapporti per accreditarsi ai piani alti dell’establishment quale mediatore internazionale e diplomatico senza titoli. Alla fine lui la uccise (niente spoiler, su).
Un racconto clamoroso, già al centro dell’articolo The Worst Marriage in Georgetown, che aspettava solo di essere trasposta al cinema. E il sessantatreenne Waltz, un attore che dal battesimo del fuoco tarantiniano ha scelto quasi sempre di incarnare la quintessenza dell’ambiguità attraverso ruoli spesso spietati, ha scelto proprio questa bizzarra e inquietante storia di inganni per approdare dietro la macchina da presa (si tratta dell’esordio solo sul grande schermo: in realtà ha già diretto un tv movie nel 2000, ma oggi la situazione “schermi” è così complessa che è meglio non affrontarla).
Alla sceneggiatura c’è David Auburn, uomo di teatro qui chiamato ad organizzare la narrazione in uno schema processuale che sottolinea sia la dimensione luciferina e camaleontica del protagonista vagamente squilibrato (qui Ulrich Mott: i nomi sono cambiati, gli eventi modificati, anche il distacco anagrafico è ristretto) sia la nonchalance con cui il bel mondo americano accoglie e accetta senza troppe domande questo incredibile e spregevole personaggio venuto da chissà dove.
Cos’è Georgetown? Una commedia nera? Un dramma (alto)borghese? Un tenue noir? Un mélo mancato? Un giallo grottesco? Un po’ di tutte queste cose e un po’ qualcosa di sfuggente, anzi, sfuggito di mano al neoregista. Se Waltz avesse dato più retta al suo ghigno perfido, il film avrebbe forse giovato di una maggiore scaltrezza, senza rinunciare all’empatia di fondo che riconosce sia nei confronti del povero diavolo sia verso l’anziana signora, prima stuzzicata dalla possibilità di una nuova avventura e via via intrappolata nella macchina infernale di un matrimonio insensato e violento.
Sarà che accanto a Waltz c’è la suprema Vanessa Redgrave che rifugge lo stereotipo della vittima, ma la strana coppia che formano è la cosa migliore del film (ma non dimentichiamo la solita fuoriclasse Annette Bening): due disperati che riconoscono l’uno nell’altra l’occasione per vivere alla grande (lui grazie ai soldi, alla sicurezza socio-economica e alle relazioni della moglie; lei esaltata dall’iniezione di giovinezza che gli dà il marito), due anime in pena che declinano in maniera diversa il proprio inesorabile bisogno di sentirsi amati. Qualche interessante intuizione di regia (piani sbilenchi da noir anni Quaranta), tutto più o meno corretto, ma manca un vero battito d’ali.