SOTTO IL SOLE DI RICCIONE (Italia, 2020) di YouNuts!, con Cristiano Caccamo, Andrea Roncato, Lorenzo Zurzolo, Isabella Ferrari, Saul Nanni, Ludovica Martino, Fotinì Peluso, Luca Ward, Davide Calgaro, Matteo Oscar Giuggioli, Claudia Tranchese, Giulia Schiavo, Maria Luisa De Crescenzo, Tommaso Paradiso. Commedia. ** ½
Espressione quintessenziale di un romanticismo disperato, epicentro visivo sonoro estetico politico di un movimento nostalgico che si conferma bene rifugio di un Paese incapace di immaginare il futuro, Sotto il sole di Riccione non è ciò che sembra. È il primo film che Enrico Vanzina ha scritto senza il fratello Carlo, morto due anni fa, e nelle sue intenzioni – e in quelle di Lucky Red che produce e Netflix che distribusce – dovrebbe rinverdire i fasti di Sapore di mare.
Ora, non è nemmeno il caso di sottolinearlo, Tommaso Paradiso non è Gino Paoli. Non è tanto una questione di talento o capacità di definire un immaginario (benché Paoli sia un dio e Paradiso abbia nel cognome stesso la richiesta di un’ambizione impossibile), ma di – ci risiamo – nostalgia. Sapore di mare raccontava un’estate-tipo degli anni Sessanta, in cui il repertorio di madeleine vinceva sull’attendibilità cronologica, con una colonna sonora a definire l’orizzonte culturale, l’apparato umano, il desiderio di ritornare a un’età dell’oro a cui i Vanzina (portavoce di una generazione: ragazzi del dopoguerra – borghesi – villeggianti – romani) guardavano con rimpianto e tenerezza attraverso un filtro parziale ma autentico.
Sotto il sole di Riccione, invece, racconta un’estate contemporanea: il juke-box è diventato una playlist monotematica, il parterre di voci si è ridotto all’unica voce di Paradiso pre-scioglimento dei TheGiornalisti. Paradiso è un nostalgico, sì, ma rimpiange la stagione dei Vanzina, ammicca a quell’universo fatto di tormentoni plasmato dai corpi abituali del cinema dei fratelli. Come Sapore di mare, Paradiso ha l’obiettivo di far rispecchiare la propria generazione nell’autobiografia altrui: se i Vanzina parlavano di se stessi non solo ai se stessi cresciuti ma anche a un pubblico nuovo – da cui lo status classico del loro capolavoro – a Paradiso spetta il compito di intercettare il sentimento collettivo di una generazione frammentata e frantumata in mille passioni sfruttando un catalogo emotivo che non corrisponde a quello contemporaneo.
Dei ragazzi del film, in fin dei conti, non ce ne frega niente. Parlano del loro (nostro) tempo di traverso e, a ben vedere, non c’è affanno nella rincorsa all’instant movie, al racconto in diretta di una giovinezza sfuggente e non classificabile nel comodo scompartimento vanziniano (la borghesia romana in lunghissima villeggiatura negli anni del boom). Qui la crisi eterna è fuori campo ma dentro gli occhi di giovani talmente incapaci di immaginare un futuro da accontentarsi di essere narrati da un quasi settantenne (Enrico Vanzina) che ha però avuto la saggezza di farsi accompagnare dai più freschi Caterina Salvatori e Ciro Zecca e dal collettivo di registi YouNuts!.
Lo schema è lo stesso di tanti altri film balneari con una spruzzata di commedia studentesca americana anni Ottanta, i personaggi sono varianti di modelli consolidati (il disabile, il sognatore, lo sfigato, la scapestrata, l’innamorato…), i luoghi rappresentano consuetudini per tutti coloro che hanno frequentato una città di mare in estate. Rispecchiarsi è facile, riconoscersi un po’ meno: a differenza dei Vanzina, siamo figli di tutto ciò che è post- e ogni cosa illuminata dal sole (di Riccione) ci suona falsa nella misura in cui sappiamo che è non di rado più vera del vero.
Peccato che alla citazione vivente della già Selvaggia Isabella Ferrari non sia stata costruita una narrazione meno scontata (peraltro in tandem con l’equivoco Luca Ward: citazione per citazione, un Massimo Ciavarro avrebbe garantito un maggior peso specifico), ma che spettacolare interpretazione quella di Andrea Roncato, ex bagnino sciupafemmine che insegna la vita vissuta sbiascicando mozziconi di sagge lezioni esistenziali: che sguardo, che voce, che complessità emotiva nella trasparenza di un corpo attoriale che da qualche anno (grazie alle prove per Pupi Avati e Paolo Virzì) ci sta offrendo una galleria sottovalutatissima e straordinaria di rottami con un’ultima luce nascosta negli occhi. Per il resto: commedia balneare in purezza, senza pensieri. E va bene.
Ciao! Ma non lo aggiorni più il tuo blog?
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