MISS MARX (Italia-Belgio, 2020) di Susanna Nicchiarelli, con Romola Garai, Patrick Kennedy, John Gordon Sinclair, Felicity Montagu, Karina Fernandez, Emma Cunniffe, Philip Gröning. Biografico storico drammatico. ** ½
Per tutta la durata del film non riusciamo a toglierci dalla mente una domanda: com’è possibile che una donna così straordinaria, rivoluzionaria, pionieristica possa amare in un modo così scriteriato – anche se è legittimo chiedersi se esistano al mondo amori con criterio – uno, diciamolo pure, stronzo del genere? Possibile ricorrere alle logiche oscure del sentimento più inspiegabile per tracciare il profilo di un personaggio sempre rimasto ai margini del discorso e invece degno di guidare una narrazione con tutta la sua dimensione umana?
Nelle intenzioni voleva essere il biopic che rendeva giustizia a una figura dimenticata, attraverso il racconto di una vita fuori dal comune. Nei fatti, non c’è niente di dissimile da un period drama europeo dove i valori di produzione (la precisione teatrale del décor, i costumi va da sé credibili, la fotografia da sussidiario d’alta scuola) prevalgono sulla costruzione tridimensionale dei personaggi, sul ritmo di una rievocazione originale, sul bilanciamento dei tantissimi temi messi in campo e non sempre sviluppati pienamente.
Alla prova del fuoco definitiva, Susanna Nicchiarelli non ripete il miracolo di Nico, 1988, preferendo con Miss Marx di procedere timidamente e timorosamente nei pressi del racconto tradizionale, azzardando qualche contaminazione punk un bel po’ di maniera (ancora una colonna sonora di canzoni rock per accompagnare le vicende in costume? Ancora il ricorso ai maledetti della musica per parafrasare il passato?) e sprecando non di rado passaggi determinanti per avere un quadro più ampio della situazione.
È un peccato vedere la storia di Eleanor Marx, sestogenita di Carl, ridotta – letteralmente – alla relazione tossica con Edward Aveling, non tanto perché non crediamo che sia stata fondamentale nell’esistenza della donna: pensiamo, tutto sommato, che potesse essere il tassello di un mosaico più complesso e non l’ammiccante strizzatina d’occhio alla temperie contemporanea. Il femminismo di Eleanor è tutto nella sua vita, nelle azioni di rottura di una persona cresciuta in un ambiente unico che non può essere letto con la sensibilità d’oggi.
Più che un’occasione sprecata, Miss Marx pare un ritratto sfocato, una lettura che mette in evidenza lo statuto di vittima – del patriarcato, sì – della protagonista senza farle giustizia, che non considera la particolarità del suo contesto d’origine (non si capisce bene la rottura di Marx e proseliti con le convenzioni borghesi) preferendo interpretazioni poco coerenti (il ruolo di Helene Demuth, governante e militante trattata come preda sessuale), superficialità sparse (a forza di concentrarsi sul ménage della coppia si buttano via personaggi come quello di Olive Schreiner), forzature ruffiane (efficace quanto gratuito il pezzo che rivisita Casa di bambola).

Dopo un inizio interessante con il funerale del padre che annuncia una struttura circolare, purtroppo il passo si rivela quello lento e ridondante dei biopic televisivi e finisce per soffocare passaggi determinanti, su tutti il legame incendiario col padre amatissimo (lo interpreta, con una scelta di casting davvero intelligente, Philip Gröning) che si risolve senza soluzione nella bellissima sequenza finale, flashback rivelatore e sfaccettato. Molti hanno apprezzato la danza in the dark liberatrice che fa quasi da epilogo, ma sono i titoli di coda a spiegarci molto: abbiamo dovuto aspettare oltre cento minuti di melodramma in minore per leggere un cartello in chiusura che ci dà conto della grandezza di Eleanor Marx.