Dispacci (7) | È stata la mano di Dio; Cry Macho; Atlantide; Re Granchio; Nowhere Special; tick, tick… BOOM!; Caro Evan Hansen… e altri

È STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino. ★★★★

IN SALA E POI IN STREAMING (NETFLIX). «Non me li hanno fatti vedere». Fino a poco prima, Paolo Sorrentino ci ha fatto vedere i suoi genitori – cioè quelli di Fabietto Schisa – come due corpi pieni, affamati, ingordi di vita. È un cinema ingordo, quello di Sorrentino, che di fronte a quello che è il più asciutto e dolente dei suoi lavori mette in chiaro quanto il suo obiettivo sempre perseguito e finalmente espresso con il dolore dei sopravvissuti è tramandare la lezione dei genitori Dopo tanti vecchi sulla frontiera della morte, i coniugi Schisa incarnano la vita (Teresa Saponangelo e Toni Servillo sono meravigliosi). Con tutte le sue contraddizioni, tradimenti compresi. La prima parte somiglia a Lessico famigliare di Natalia Ginzburg: l’aneddotica sul parentado, il quotidiano degli affetti, i tormenti privati, i pranzi e le cene. Una cerimonia degli addii che Sorrentino sembra non voler mai concludere. Ma il piacere di un racconto affollato di personaggi mai dimenticabili (la zia “matta” della splendida Luisa Ranieri, la matrona impellicciata che si abbuffa di mozzarelle, lo zio Renato Carpentieri che aspetta Maradona come un messia, l’anziano fidanzato della cugina con la voce metallica) è la chiave con cui Sorrentino svela il suo tentativo, disperato e struggente, di tenere in vita il più possibile un mondo che è morto con i suoi genitori. Un mondo che piomba in un perenne inverno del cuore, dove il sole è solo promessa di albe alla fine di viaggi verso il termine della notte. In questo senso è la dichiarazione di fiducia più commovente sul potere del cinema come seduta spiritica e magica illusione. Ed è il racconto di una fuga, di una lacerazione che mette alla prova il dovere a non disunirsi, di una partenza inevitabile per poter pensare finalmente a quelle che il fratello di Fabietto chiama “le cose felici”. È la storia di come Fabietto divenne Fabio (Filippo Scotti, una rivelazione): «Se non hai le idee ti serve un dolore» e allora i pensieri trovano la forma delle lacrime che fanno un uomo, un raggio di sole illumina dopo aver scoperto cosa c’è dentro la spaccatura, la trenodia lascia via via il posto alla celebrazione della vita. Qual è la lezione? È l’intelligenza del cuore. «E tu sai ca’ non si sulo», canta Pino Daniele nel finale: già.

Paolo Sorrentino, una mediocrità che commuove

CRY MACHO – RITORNO A CASA di Clint Eastwood. ★★★

IN SALA. È almeno il quarto “ultimo-film-con-Clint-Eastwood” dopo Gran Torino, Di nuovo in gioco, The Mule. Non c’entrano niente le strategie pubblicitarie, è qualcosa che afferisce a una dimensione più profonda: esistono suoi film che solo lui può interpretare, personaggi che solo lui sa indossare perché cuciti sulla sua icona, immaginari che solo lui è in grado di reggere. 91 anni si vedono tutti (le camminate ciondolanti, la postura, i riflessi lenti) e i più l’hanno quasi irriso, più per l’ingombro dell’anagrafe che per la debolezza di un film piccolo e fragile. E però questa ennesima variazione dei temi del nostro (in sintesi: c’è un adulto che deve trasmettere una lezione a un giovane, rivendicando l’adesione a un modello di valori desueto in cui contano le ragioni della famiglia, il rispetto verso il prossimo, il coraggio delle azioni) ha sì il sapore antico di una ballata country ma non rinuncia a dare stoccate ai poliziotti corrotti, a sottolineare la sua differenza con il nuovo mondo cinico, a concedere a se stesso un ultimo ballo al tramonto (momento stupendo). Non un capolavoro ma se c’è un esemplare di cinema classico e non vecchio è proprio questo.

Cry Macho. Ritorno a casa. La recensione del film di Clint Eastwood

ATLANTIDE di Yuri Ancarani. ★★★★

IN SALA. Esordio al lungometraggio di un navigato artista contemporaneo, è una folgorante e abbacinante sinfonia per immagini, l’espansione narrativa di un’installazione che trova il suo spazio ideale su quel grande schermo in cui far smarrire lo sguardo. Chi lo derubrica a esercizio estetico a tratti estetizzanti, finge di non vedere la storia che c’è: un racconto di de-formazione in cui un ragazzo veneziano si mette in testa di rubare un’elica per rendere più performante il barchino, simbolo di potere e potenza all’interno del suo piccolo mondo. Sulle onde di una prospettiva lisergica, la droga altera l’orizzonte del paesaggio lagunare, aprendo la città alle suggestioni ipnotiche degli incubi che solo quella città sa nascondere sotto la coltre della cartolina romantica. Fluido, liquido, immersivo fino a risultare respingente, è cinema d’osservazione e di ripensamento, documentario che si riformula al montaggio trovando nuova vita, esemplare estremo di videoclip con la musica trap a regolare il battito del cuore.

Atlantide, la recensione: un'esperienza multisensiorale | Lega Nerd

RE GRANCHIO di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis. ★★★★

IN SALA. È stagione di grandi debutti e non fa eccezione quello di Rigo de Righi e Zoppis, un film anomalo e a suo modo unico che ha la capacità di riesumare dunque fissare le narrazioni della tradizione orale e di interrogare la contemporaneità andando oltre i confini regionali. Una favola contro il potere, dalla parte dei senzadio e dei senzacasa, sulla rotta di un’avventura che dalla Tuscia irrompe nella Terra del Fuoco. Come Atlantide c’è la volontà – a costo di risultare ostici e respingenti – di ricodificare il paesaggio e le sue usuali narrazioni, spingersi oltre le barriere del realismo per collocarsi nel leggendario, sondare territori già esplorati con una nuova luce. Nella forma di un western dall’immagine limpida e l’anima ancestrale, i registi usano i piani temporali (Ottocento e oggi) per sospendere il tempo e lo spazio: ne viene fuori un esemplare raro e prezioso di cinema magico e terragno, picaresco e ieratico, astratto e materico, erotico e metafisico.

Re Granchio - Cinematografo

NOWHERE SPECIAL – UNA STORIA D’AMORE di Uberto Pasolini. ★★★ ½

IN SALA. C’è uno struggente senso della fine nel terzo film del parco Pasolini, che torna con i suoi personaggi mai scontornati dalle difficoltà del quotidiano, sempre immersi nella realtà autentica di una working class che abita in case piccole alla periferia della popolazione dei garantiti. Si è ispirato a una storia vera, ma non è questo dato a darci la misura dell’emozione: se crediamo alla straziante storia del giovane lavavetri che, consapevole di avere poco tempo prima della morte, deve trovare la famiglia adatta a crescere il figlioletto di quattro anni (la madre è andata via), non è tanto per l’impatto emotivo della “biografia di un uomo non illustre” quanto grazie alla sinergia del regista con i due straordinari attori, James Norton e il piccolo Daniel Lamont. È sulla loro relazione che s’incardina questo racconto autunnale, il cui segreto è dentro il sorriso nascosto, oltre i tatuaggi, nelle pieghe del volto affaticato del padre che mette da parte ricordi per il futuro altrui. E nella purezza dello sguardo del figlio desideroso di emulare il suo eroe e imparare il più possibile nello spazio di quel che resta. Umanissimo, commovente, pieno di dignità. E non è semplice parlare di morte aprendo tali varchi di speranza.

Nowhere Special, un film sulla vita, e su come fare il miglior uso  possibile del tempo che abbiamo - MYmovies.it

TICK, TICK… BOOM! di Lin-Manuel Mirand. ★★★ ½

IN STREAMING (NETFLIX). Autobiografia postuma pensata nell’unica forma possibile concepita dal suo autore e protagonista, Jonathan Larson, non è solo un musical sui e sul musical ma anche l’autoritratto per mezzo di biografia altrui di Lin-Manuel Miranda. Miranda crede nel musical come chiave di comprensione del mondo e dispositivo per sublimare la vita nella finzione: la storia di Larson è anche la sua nella misura in cui rappresenta il percorso di ogni artista nella conquista di un posto nel mondo e nel riconoscimento della propria voce. Va da sé che in questo caso il rispecchiamento si accorda al tributo: la star omaggia l’opera e le gesta del maestro sfortunato (a sua volta ispirato dall’appena scomparso Stephen Sondheim), ne celebra il genio e lo rende personaggio iconico, antieroe pieno di vita in cui far riconoscere gli spettatori. Mette in scena il passaggio dai venti ai trent’anni in un’epoca dove il futuro è una promessa e non una certezza: lo fa uscendo dalle secche del realismo, in una specie di All That Jazz abitato da un Andrew Garfield capace di trasmettere ossessione e passione, paura e desiderio, calibrando intimismo e istrionismo, vivacità e meditazione, frenesia e dramma. Un film generoso, empatico, fluido, elegante, con profondità teorica e confezione spettacolare.

tick, tick… BOOM!', un musical che è la storia del musical | Rolling Stone  Italia

CARO EVAN HANSEN di Stephan Chobsky. ★★★ ½

IN SALA. Lo sappiamo, il nostro non è un paese per musical (a meno che non sia una roba del Sistina), quindi non sorprende che in pochi si siano accorti di questo film, adattamento di una popolare produzione di Broadway tanto atteso quanto poco amato dal pubblico statunitense. Pietra dello scandalo: Ben Platt, che a 27 anni si è sottoposto a qualche trucco di troppo per risultare credibile come liceale. Onestamente mi sembra pretestuoso, perché Platt sa dare voce (in tutti i sensi) allo smarrimento, al dolore, all’incoscienza di un ragazzo affetto da depressione e ansia sociale che si ritrova dentro una storia più grande di lui: una lettera scritta a se stesso per motivi terapeutici finisce nelle tasche di un altro ragazzo problematico, morto suicida, e allora la famiglia si convince che i due erano amici. L’equivoco genera effetti incontrollabili e Chobsky come sempre non lesina palpiti e lacrime: è grazie a lui che questo musical trova una cifra, con la sua impressionante sensibilità nel raccontare percorsi di crescita e di emancipazione (Noi siamo infinito, Wonder) nell’epoca in cui i social sono veicoli per crearsi una reputazione e inventare una autorappresentazione.

Caro Evan Hansen: quello che non si può dire | Recensione

IO SONO BABBO NATALE di Edoardo Facone. ★★ ½

IN SALA E IN STREAMING. L’interesse è dovuto al fatto che trattasi dell’ultima interpretazione di Gigi Proietti, che percepiamo già un po’ affaticato nonostante la costanza del sorriso, il gigionismo ben temperato, l’eleganza del gesto, il divertimento come missione. È lui Babbo Natale (aka Nicola Natalizi), che ha scelto di abitare a Roma per il clima ambientale e umano nonostante le mille problematiche della Capitale. Le elenca tutte (spazzatura, traffico, buche…) ma incredibilmente vengono a mancare in un film che prende la strada della favola all’americana. Vero protagonista è Marco Giallini, galeotto che si redime suo malgrado grazie all’incontro magico. Il pubblico di riferimento è infantile, il tentativo di offrire un’alternativa nostrana al (vecchio) prodotto anglosassone è rispettabile, i valori di produzione non sono disprezzabili. Ma il calco è solo piacevole, le piccole cattiverie appaiono poco approfondite, la storia è un po’ risaputa. Resta però una tenera occasione per salutare un Maestro.

Io sono Babbo Natale, recensione del film con Gigi Proietti e Marco  Giallini • Universal Movies

LA MIA FANTASTICA VITA DA CANE di Anca Damian. ★★★ ½

IN SALA. Favola esistenziale su come una cagnolina riesce a influenzare le vite degli esseri umani, fa suoi gli strumenti e le forme del “film per famiglie” per dialogare al di là delle contingenze anagrafiche. La riflessione è stratificata, la morale pur non enfatizzata è ben evidente, il portato emotivo cerca una connessione con i grandi e i piccoli. In più – e qui sta lo scarto – ribalta il genere del “film sul cane domestico” slittandone la prospettiva dal padrone all’animale. Edifica la dimensione educativa (l’amore come moto che appaga e non presuppone una ricompensa) all’altezza di una meditazione sulla società (l’egoismo che mette alla prova la cura dell’altro), individuando la chiave di comprensione nello “specifico canino” (il legame di fiducia e dipendenza con il proprietario, il passato come sensazione più che condizionamento). Una visione fluida e profondamente soggettiva che unisce animazione tradizionale e scintille tridimensionali: come se scoprissimo il mondo con uno sguardo nuovo, quello di un cane.

CameraLook | Cinema Web Magazine

THE TROUBLE WITH BEING BORN di Sandra Wollner. ★★★

IN STREAMING (MUBI). Sci-fi di matrice esistenzialista perturbante, è una storia che può suscitare fastidi e nausee ma anche ammirazione per la capacità di trovare un equilibrio delicatissimo nel trattare una materia così problematica. Wollner punta in alto, sin dal titolo che attraverso l’Emil Cioran di L’inconveniente di essere nati rilegge, ripensa, ribalta, riformula la favola di Pinocchio. Nella gabbia angosciante dei 4:3, lo sguardo ipnotizzante della regista si modula in una disperata rielaborazione al contrario del testo collodiano: un’androide quasi adolescente vive con un uomo che chiama papà in una villa di raffinata eleganza minimalista, nuotano in piscina insieme, condividono ogni cosa e lui la porta a letto di notte. È il “padre” a programmarla, smontarla, plasmarla, dandole pezzi di una memoria che ha un significato solo per lui. Ambientato in un tempo sospeso, è un’ipotesi distopica che si muove in un terreno impervio e inquietante (è incesto?), un film scabroso e abbastanza sconvolgente.

Recensione: The Trouble With Being Born - Cineuropa

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