Dispacci dalla sala e dintorni (2): Ariaferma; Days; #IoSonoQui; The Eyes of Tammy Faye

ARIAFERMA di Leonardo Di Costanzo. ★★★★

«Ah voi non siete detenuti? Non me ne ero accorto» sentenzia Silvio Orlando, il più carismatico dei dodici prigionieri rimasti nel limbo di un trasferimento ad altro istituto rinviato a data indefinita, al cospetto di Toni Servillo, l’ispettore a cui lo Stato ha delegato la gestione di un antico e decadente carcere prossimo alla dismissione. Dentro questo spazio chiuso che non lascia fiato, fluttuando in un tempo sospeso fino alla notte in cui le regole devono fare i conti con le conseguenze dell’umanità, Leonardo Di Costanzo edifica un racconto densissimo e stratificato che fa qualcosa di molto raro per il cinema italiano contemporaneo: la costruzione di un’utopia in una realtà autentica, il ripensamento di un naturalismo senza compiacimenti all’altezza della statura teatrale dei suoi protagonisti (entrambi clamorosi, in ammirevole sottrazione), la volontà di scandagliare un microcosmo emancipato dalla sua narrazione più consueta. Potente, mai didascalico né prevedibile, vivaddio accessoriato di nessuna lezione moralista ma pieno di attenzione, empatia, etica.

Ariaferma», la vita in carcere nello spazio della parola | il manifesto

DAYS di Tsai Ming-liang. ★★★ ½

Prosa poetica che rinuncia all’atto del parlare, poema per immagini in laconico movimento, esaltazione del visibile inteso come espressione del non-visibile. Film pre-pandemico che sembra avere in sé proprio lo spirito del tempo pandemico, la sua drammatica dilatazione e il suo chiudersi nella nicchia di un tormento interiore perché collettivo. Una sfida alla pazienza, un’ode all’attesa, una richiesta d’attenzione. Alle radici del silenzio, entrando nel cuore di un minimalismo consapevolmente –pericolosamente, ma è messo nel conto dell’esperienza altra – sul ciglio del formalismo d’autore, Tsai filma il quotidiano di due corpi, l’uno malconcio e l’altro aitante, e li rende protagonisti di una storia senza sceneggiatura, edificata su una fisicità che occupa un tempo statico eppure laborioso nel costruire narrazione rivelatasi anti-narrativa secondo i moduli tradizionali.

Days | La recensione del film diretto da Tsai Ming-liang

#IOSONOQUI di Eric Lartigau. ★★

Gli effetti dei social sulla vita di un maturo chef francese, che si sente vivo solo chattando con una giovane donna coreana conosciuta su Instagram. Allora va in Corea, sperando che la corrispondenza epistolare si possa trasformare in qualcosa di più concreto. Maschio-in.crisi-in.trasferta-all-estero è un canovaccio che funziona da decenni e che però qui sembra avere il fiato corto, appoggiandosi su un facile repertorio retorico di metafore che, a colpi di siparietti non sempre ben amalgamati, conduce il film verso una pigra benché rassicurante conclusione. La chiave è verso il finale, quando lo chef fa un’autocritica che tutto sommato mal cela una certa autostima: «Sono un eterno immaturo. Ma sui social uno può mostrare ciò che vuole, basta capire il meccanismo» dice ai figli, invitandoli a seguire il monito di Steve Jobs, quel «Siate folli, siate affamati» ormai ridotto a frase da condividere – appunto – sui social fuori contesto e senza riflessione.

IoSonoQui: recensione del film di Eric Lartigau - Cinematographe.it

THE EYES OF TAMMY FAYE di Michael Showalter. ★★ ½ (FESTA DEL CINEMA DI ROMA)

Alcuni film nascono in funzione degli Oscar: sono generalmente biopic e si reggono sulle performance debordanti di interpreti – da tempo in attesa di una statuetta – che decidono di seppellirsi sotto chili di protesi per accaparrarsi lo stupore e l’ammirazione dei votanti ma anche del pubblico. Sembra arrivare da un’altra epoca, questa ricostruzione di vita e opere dei coniugi Bakker, celebri telepredicatori evangelici che all’apice del successo furono rovinati da scandali finanziari e sessuali. Come si intuisce dal titolo, il punto di vista privilegiato è quello di Tammy, che diffondeva il verbo attraverso performance musicali e interventi anticonformisti che la resero icona lgbtq nonché religiosa: Jessica Chastain vi scompare dentro, così come il marito Jim aka Andrew Garfield. Che sono bravi, ci mancherebbe, ma mal guidati in un film sì scorrevole e divertente ma che non azzecca tono e spirito, illustra restando sulla superficie dell’empatia verso Tammy e del disprezzo per Jim e non si accolla il coraggio di abbracciare il camp ineludibile se ti servi dei mascheroni del genere. Non si pretendeva il registro grottesco, ma questi due personaggi uno sguardo più acuto se lo meritavano.

Festa del Cinema di Roma: 'The Eyes of Tammy Faye' è il film di apertura |  Awards Today - news, trailer, recensioni, cinema, serie tv, oscar

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