Italia ’50s – 23 | Vortice | Raffaello Matarazzo (1953)

Nel bel mezzo del trionfo della serie strappacore con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, Raffaello Matarazzo si dedicò al biopic di Giuseppe Verdi – la vita del compositore raccontata come uno dei suoi melodrammi e proprio attraverso frammenti delle opere… – all’adattamento di un romanzo risorgimentale, Il tenente Giorgio, interpretato da Massimo Girotti. Con cui, un anno dopo, lavorò ancora in Vortice, accanto a Silvana Pampanini, che avrebbe poi recitato ne La schiava del peccato.

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Insomma, siamo in un momento propizio, in cui il grande regista non si limitava a replicare la fortunata formula Nazzari-Sanson ma adottava lo schema ad altre coppie divistiche e, in parallelo, sperimentava racconti non proprio convenzionali. Limitandoci a Vortice, è chiaro che la narrazione si dipani seguendo i topos del genere, ma è altrettanto lampante quanto il rischio del fotoromanzo sia evitato magnificamente per una sapienza registica incredibile nella composizione e nell’armonia.

Di Matarazzo si è parlato molto in passato, rappresenta forse il caso più importante di autore del cinema del dopoguerra rivalutato dalla giovane critica degli anni settanta, che cominciò a proiettare i suoi film nei circuiti della cinefilia e ben presto – anche grazie all’intervento francese – rese evidente la sua cattiva lettura all’epoca, per quanto comunque ci sia tuttora chi continua a sottovalutarlo.

Oggi non abbiamo dubbi nel pensare a lui come ad un maestro del cinema classico italiano, esponente di un ideale neorealismo d’appendice che ne fa il cantore dei sentimenti, magari con moralismo conservativo, eppure così penetrante presso il pubblico da stagliarsi forse quale massimo regista popolare dell’Italia della ricostruzione, desiderosa di rivedersi in storie dalle quali potessero emergere i valori della brava gente.

Vortice è un racconto a suo modo esemplare, dove i personaggi sono definiti entro un sistema manicheo molto efficace e sullo sfondo abbastanza glaciale di un ascensore sociale traslitterato nel feuilleton. Costretta a sposare il facoltoso industriale con cui il padre, tendente al suicidio, ha un debito importante, la piccoloborghese Elena deve lasciare il fidanzato Guido: prima avvinti in un ballo memorabile mentre canta Flo Sandon’s, poi lo liquida con una lettera, non volendo vedere in faccia il dolore di una vita negata.

Passano gli anni, tra moglie e marito non corre buon sangue ma c’è una bambina a tenere insieme tutto. Lui parte per Firenze con l’amante: hanno un incidente, lei scappa per evitare scandali, lui viene portato in ospedale agonizzante. La moglie accorre. Chi potrà mai essere il medico che opera l’industriale? Il talento di Matarazzo sta proprio nel rendere questo prevedibilissimo colpo di scena la cosa più inaspettata della terra.

Con un’economia dello sguardo che riesce ad evitare i primi piani enfatici, mette la figura intera di Guido nel bianco anonimato della corsia d’ospedale e il piano americano di Elena sembra essere travolto da qualunque emozione compreso l’istinto suicida. Aver affidato alla Pampanini il ruolo non è casuale: è una figura meno verginale della Sanson, più maliarda e provocante, è stata sì obbligata al matrimonio senza amore ma pare quasi essere complice dell’adesione catatonica alla sua condizione borghese.

Avendo la colpa del sofferto remake di un amore extraconiugale, deve scontare un percorso ad ostacoli prima di poter essere felice; al contempo, essendo vittima di un tradimento conclamato, indirettamente coinvolta in un ricatto economico-sessuale, rea di non poter vantare un alibi socialmente rispettabile, è costretta a sperimentare la disperazione per uscire dalla trappola.

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Naturalmente ci sono le suorine tipicamente matarazziane ad accompagnarla verso la fine del film affinché non coincida con la fine della vita (finale pazzesco: si sa dal principio ciò che non accadrà, ma si spera strenuamente che il fatal gesto non avvenga…), mentre la recitazione sommessa e dignitosa dell’elegantissimo Girotti porta in dote la razionalità dentro un melodramma dominato da spietati, cinici, detestabili opportunisti.

Ovviamente è Franco Fabrizi a portare alta la bandiera dei viscidi (è il ricattatore), Gianni Santuccio resta impresso per l’impostazione molto teatrale del suo signorile cattivone che anche in sedia a rotelle occupa la scena con feroce viltà, invece è abbastanza curiosa la partecipazione della quasi debuttante ma già ipnotica Irene Papas, che sembra recitare in italiano ma è doppiata da Andreina Pagnani.

VORTICE (Italia, 1953) di Raffaello Matarazzo, con Massimo Girotti, Silvana Pampanini, Gianni Santuccio, Irene Papas, Franco Fabrizi, Maria Grazia Sandri, Paolo Ferrara, Giorgio Capecchi, Gualtiero De Angelis, Dina Perbellini. Mélo. *** ½

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