Recensione: Il fulgore di Dony

IL FULGORE DI DONY (Italia, 2018) di Pupi Avati, con Greta Zuccheri Montanari, Saul Nanni, Alessandro Haber, Lunetta Savino, Ambra Angiolini, Giulio Scarpati, Andrea Roncato. Drammatico. **

Per introdurre Il fulgore di Dony cogliamo l’occasione per una piccola riflessione su quest’ultima stagione di fiction Rai, consci che il termine appena usato rappresenti un eterno malinteso tutto italiano, specie all’epoca di questa post-high televisione che mette in crisi qualunque etichettatura. Nel suo piccolo, mai come quest’anno la principale azienda culturale del Paese ha flirtato col cinema, e in special modo coi suoi talents, al di là degli esiti.

È stata la stagione di In arte Nino e Fabrizio De André. Principe libero, con due attori non televisivi – intendendo con questa definizione Beppe Fiorello o, parzialmente, Pierfrancesco Favino, ovvero due attori che raccolgono effettivamente un pubblico a prescindere del ruolo che interpretano – come Elio Germano e Luca Marinelli impegnati in biopic tradizionali. Quello sul cantautore, inoltre, è stato proiettato al cinema un mese prima con ottimo riscontro, nonostante il suo linguaggio fosse prettamente televisivo: un dato che la dice lunga su cosa voglia vedere il pubblico italiano al cinema.

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Ma è stata anche la stagione in cui Francesca Archibugi ha diretto Romanzo famigliare con una libertà davvero notevole, confermando sia la grande abilità della regista nel racconto delle dinamiche adolescenziali sia l’attenzione della Rai al family drama, infinitamente variato. Dal cinema viene pure Daniele Vicari: Prima che sia notte, biopic su Giuseppe Fava, è un interessante prodotto popolare per un autore così rigoroso.

E poi La linea verticale, ottimo dramedy che può essere visto come un unico film e al contempo operazione intelligente per testare le potenzialità della piattaforma Raiplay. Infine, Il cacciatore, davvero intelligente nel rinnovare un fortunato filone tipicamente valsecchiano con un respiro finalmente internazionale. Come si inserisce, in tutto questo, Il fulgore di Dony, ultimo lavoro di Pupi Avati tenuto in stand-by per qualche mese?

Dopo uno o due flop di troppo, il quasi ottantenne cineasta bolognese si è ritirato nella riserva televisiva, di primo acchito il luogo più adatto per continuare a lavorare con uno stile che cerca continuamente di confondersi tra la trasparenza e la sciatteria. Se è vero che lo sguardo di Avati resta testardamente coerente alla sua idea di un’immagine limpida e netta, è altrettanto indiscutibile una certa leggerezza da “buona la prima” che mette in crisi la credibilità di molti passaggi.

Allo stesso tempo, non privo di un certo coraggio confinante con lo sprezzo del ridicolo, dopo il definitivo Un matrimonio, ha deciso di chiudere con le (ri)evocazione del passato e sta esplorando temi intimamente molto legati alle sfere della cristianità ma qua e là bisognosi di un’ossatura più solida rispetto all’apologo schematico che, al netto del piacere narrativo, svela subito tutta la sua fragilità.

In questo caso abbiamo un riferimento alla misericordia, cuore pulsante di un personaggio dal nome programmatico (Dony sta per Donata…), una quindicenne borghese innamoratasi a prima vista di un biondo coetaneo che, in seguito ad un incidente in moto, subisce un danno neurologico degenerativo. Contro tutto e tutti, Dony sceglie di stargli accanto ed accompagnarlo in una vita difficilissima eppure irrinunciabile.

Per quanto Avati sostenga che il rischio principale della storia sia la nostra incapacità di accettare un tale anacronismo, il problema più evidente è invece la sua difficoltà nel raccontare un’adolescenza a lui sconosciuta, non tanto nei contenuti quanto nella forma: ai tempi dei social network, si riesce poco a credere alla difficoltà di una ragazzina d’oggi nel non riuscire a trovare un ragazzo di cui conosce nome e cognome.

fulgore-dony-2È un elemento tra tanti, che fa il paio con la stranezza di due adolescenti con padri molto maturi, in un caso evidentemente distante per età rispetto alla moglie (Giulio Scarpati e Ambra Angiolini), che prendono taxi con estrema facilità, girano corti di rara modestia, guai a toccare le vacanze di Natale ad Abetone e saltano scuola senza farsi troppi problemi. E, a voler essere pignoli, sembra assurdo che un consiglio di classe prenda con tale superficialità la grave scelta della protagonista…

Dove Il fulgore di Dony funziona meglio è nel disegno delle madri, anche per merito di Angiolini e Lunetta Savino: la prima incapace di capire la figlia, è dura e insieme sofferente; la seconda merita molti elogi per la sapienza con la quale calibra dolore ed egoismo, paura e ritorsione. Comunque diamo atto all’anziano regista di osare un racconto spericolato e forse alla portata solo di un autore così fieramente testardo, bravo nel dirigere la giovane meteora Greta Zuccheri Montanari (era ne L’uomo che verrà) ed abile nell’inserire una piccola social star come Saul Nanni.

4 pensieri riguardo “Recensione: Il fulgore di Dony

  1. Ho letto con molto piacere questo articolo. Non mi aspettavo di trovarne uno dedicato a questo film per la tv che tutto sommato ho visto con piacere l’altra sera. Sono d’accordo su molti punti, specialmente sul fatto che sia tutto trattato con molta superficialità. Da Avati è lecito aspettarsi qualcosa di più.

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