Grazie a quella faccia un po’ così, Monica Scattini è stata una delle caratteriste più simpatiche del nostro cinema. Il sistema dei generi del cinema italiano contemporaneo – lo sappiamo tutti ma occorre ribadirlo in circostanze del genere – si è gradualmente disinteressato alla ricerca dei caratteristi: almeno tra gli anni quaranta e gli ottanta, la commedia italiana ha potuto contare su una buona ventina di attori capaci, in virtù delle proprie potenzialità artistiche nonché di determinate caratteristiche fisiche, di lasciare un’impronta riconoscibile pure in commedie di bassissima fattura. È il caso dei fratelli Mario e Memmo Carotenuto, di Marisa Merlini ed Ave Ninchi, di Tiberio Murgia e Carlo Pisacane, delle napoletane Tina Pica e Dolores Palumbo, della stessa Titina nelle sue incursioni cinematografiche e così come Peppino, il più grande di tutti i non-protagonisti.
Ora, considerando la situazione industriale del cinema nostrano contemporaneo e certamente escludendo sporadici casi di collaborazioni o particolari sodalizi (pensiamo ai vari Novello Novelli, Nando Paone, Maurizio Mattioli, Tony Sperandeo; ma anche i più complessi e completi Leo Gullotta, Marina Confalone, Marco Messeri, per citarne tre), le “facce” sono state assorbite dalla fiction popolare, che fa un po’ le veci del cinema strapaesano degli anni cinquanta e di quello ad episodi dei sessanta. Monica Scattini, che era una faccia, ha avuto la fortuna di intercettare tanto gli ultimi fuochi di alcuni grandi maestri della commedia quanto le stanche riproposizioni di un modello irripetibile o i prodotti usa-e-getta di quel che resta della nostra tradizione.
Monica Scattini ci ha lasciati oggi, tre giorni dopo aver compiuto cinquantanove anni, e probabilmente il suo nome a molti dice poco. La sua faccia, ecco, forse dice qualcosa in più di questa figlia d’artigianato più che figlia d’arte (il padre era Luigi Scattini, regista, tra le altre cose, de La ragazza dalla pelle di luna) che negli ultimi quindici anni non è riuscita a trovare sul grande schermo un ruolo adatto al suo stile aspro ed elegante al contempo e alla sua presenza squisita e buffa anche quando alle prese con lo stereotipo che ha spesso incarnato e che perfino Wikipedia riporta nell’incipit della pagina a lei dedicata (la toscana benestante).
In bacheca aveva due premi di prestigio, entrambi assegnati per la miglior attrice non protagonista dell’annata: il Nastro d’Argento per Lontano da dove, esordio emigrante di Stefania Casini (la Neve di una mitica sequenza di Novecento con De Niro e Depardieu a letto) che ricordo vagamente un po’ scombinato, e il David di Donatello per Maniaci sentimentali di Simona Izzo. Due registe, non esattamente indimenticabili, ma che hanno saputo valorizzarla. Specie la Izzo le ha cucito addosso il bel ruolo della frustrata Serena, anima burbera della famiglia disfunzionale di quel film non del tutto mediocre.
La sua filmografia si smarrisce geograficamente in un percorso simpaticamente eclettico: esordisce con uno dei Bolognini più turgidi di sempre (Fatti di gente perbene) e finisce alla corte del Coppola più sfortunato (Un sogno lungo un giorno), lega la propria immagine da cartoon a due meravigliose rapsodie di Scola (nel muto Ballando ballando gioca benissimo di mimica; ne La famiglia è un’acidissima zia Millina, zitella che litiga continuamente con le sorelle) e alla più cattiva commedia italiana degli ultimi venticinque anni (Parenti serpenti di Monicelli, in cui è la figlia sterile e perfida), entra in gioco anche con Risi (la dolce segretaria di Tolgo il disturbo) e lascia il segno con Mazzacurati (Un’altra vita). E nondimeno va sottolineato il fortissimo sodalizio con Alessandro Haber, suggellato da Scacco pazzo.
Soprattutto bisogna citare la collaborazione costante coi fratelli Vanzina e Christian De Sica, che le hanno costruito l’immagine della “toscana benestante” di cui sopra: il pecoreccio Selvaggi, lo stanco Vacanze di Natale 2000 e il televisivo Un ciclone di famiglia di Carlo Vanzina, l’orrendo Uomini uomini uomini e il pretenzioso Simpatici & antipatici di De Sica, sono film che rendono la Scattini una presenza familiare e simpatica nella prospettiva della commediaccia sulla borghesia di cui i tre (Carlo, Enrico e De Sica) sono esponenti massimi. Nelle loro mani l’attrice è diventata una macchietta riconoscibile, probabilmente limitando la propria personalità d’attrice in quegli steccati recitativi, ma che in realtà presenta qualche legame col discorso sui caratteristi in apertura di post.
Ci lascia così una brava e piacevole attrice che forse avrebbe potuto dare un po’ di più al nostro cinema, se solo il nostro cinema avesse permesso qualcosa di diverso rispetto alla ripetizione estenuante di estemporanei successi di cassetta. Tuttavia, al di là del dispiacere di questa morte prematura, ci resta nella memoria quella faccia un po’ così, col nasone buffo e il sorriso ammiccante, gli occhi vispi e la voce simpaticamente malinconica.