Recensione: Hostiles – Ostili

HOSTILES – OSTILI (HOSTILES, U.S.A., 2017) di Scott Cooper, con Christian Bale, Rosamunde Pike, Wes Studi, Ben Foster, Adam Beach, Rory Cochrane, Paul Anderson, Peter Mullan, Stephen Lang, Timothée Chalamet, Ryan Bingham. Western. ***

Nella generazione dei quarantenni del recente cinema americano, Scott Cooper è forse quello maggiormente interessato a raccordarsi con le atmosfere e i temi degli archetipi americani. D’altro canto – si sa – tra i generi classici il western è il più utile a formulare un discorso sul presente, come infatti accade dai tempi della New Hollywood se non proprio da sempre. Tuttavia, è una coscienza che passa attraverso la consapevolezza storica sulla questione dei nativi e sulle colpe di una nazione fondata sul sangue.

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Dall’ormai classico Piccolo grande uomo fino a serie tv come Godless, per ragioni anche industriali, il western si è trasformato progressivamente da genere popolare e diffuso ad esperienza occasionale (al netto delle ondate derivate da fenomeni quali Gli spietati o Deadwood) in grado di filtrare la realtà contemporanea mediante il racconto del passato. Benché – va detto – la sua poetica e la sua struttura si sono infiltrate in molti altri generi, e quindi possiamo parlare di western urbano, metropolitano, revisionato…

Tutto questo preambolo per dire che Hostiles è invece un puro western: indiani, soldati, grandi spazi, tramonti… Dopo aver setacciato il mondo country, il gangster movie, la classe operaia, Cooper approda quasi naturalmente al western, componendo un’antologia dell’America profonda con lo spirito del post-revisionista. Vagamente retrò, se non proprio fuori moda. Fuori tempo? Magari no. Perché mai, dopotutto. Di certo migliore di operazioni discutibili quali Lawless o Revenant, e in parallelo con il lavoro di Taylor Sheridan.

In sintonia con la natura che lo circonda, grazie all’eccellente apporto della fotografia di Masanobu Takayangi: nei colori malinconici dei giorni calanti, sotto il sole che fa sudare i corpi compressi nelle divise, nelle notti che nascondono l’inganno e il dolore, nella pioggia che gela i cuori. Storia di un ufficiale (Christian Bale sul punto di esplodere) assuefatto dalla violenza (perpetrata, vista, subita, abusata) che, mentre sta scortando un capo cheyenne prossimo alla morte verso il Montana natio, s’imbatte in una donna (Rosamunde Pike sempre più Grace Kelly) a cui i nativi hanno ucciso marito e figli, è un film di viaggio, scoperta, conoscenza.

Film laconico, spesso chiuso in un lunghe scene che mettono alla prova la frangibilità di personaggi al limite delle loro possibilità di sopportazione, Hostiles è racchiuso nella lapidaria secchezza del titolo: l’America come nazione fondata sull’ostilità tra coloni invasori e nativi usurpati, assassinati ed assassini, legge dello Stato e giustizia privata, edificata su una terra intesa come proprietà ma anche in quanto diritto acquisito attraverso il sangue altrui, promessa mancata che si staglia alla pari di un infinito non-detto.

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Seguendo la lezione newhollywoodiana, Cooper parla evidentemente delle contraddizioni dell’oggi, ragionando sulle differenze che tormentano la popolazione più multietnica del mondo e al contempo immersa in una paura che la porta a diffidare dell’altro senza la volontà di accogliere le sue parole. Non a caso l’unico personaggio davvero negativo è un ex soldato destinato alla forca (il feroce Ben Foster), un altro peso che il protagonista si accolla quasi per espiare le proprie colpe storiche.

Nonostante la lunga durata, è comunque un po’ improvvisa la crescita dei personaggi, anche in virtù di un finale tanto clamoroso quanto non privo di schematismi. Però, forse proprio per questa dimensione problematica che s’incontra con la splendida confezione significante, Hostiles resta un mirabile prodotto da cinema (post)classico, che addirittura vola quando, attorno al fuoco, Ryan Bingham accenna una canzone: puro western.

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