C’è una storia? Certo che c’è. Sta a priori, a prescindere. Postula tutto ciò che vediamo, dà il senso ad una visione abbacinante. Oltre il momento. Prima di tutto: è un film sull’impressionismo. Formalmente, spiritualmente. Esteticamente, eticamente. Per come è pensato, dove si sviluppa, quando si riverbera. Una situazione: nei pressi del naturalismo, scorre come l’acqua delle ninfee, con le atmosfere lì a definire la sublime e indolente semplicità del tempo.
È domenica, il giorno che meglio nasconde l’angoscia sotto l’idillio bucolico. Il narratore onnisciente di ascendenza truffautiana – il film, peraltro, esce nell’anno della morte del regista – espone con la naturalezza dei romanzieri e l’affetto dei memorialisti. C’è una famiglia riunitasi in modo un po’ rocambolesco: a casa del padre arrivano il figlio borghesotto (ovviamente atteso) e la figlia più svagata (ovviamente inaspettata).
Chi è il padre? È un pittore nel cui profilo si irradia trionfala l’immagine…
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