XV Festa del Cinema di Roma | Recensione: Éte ’85

ÉTE ‘85 (Francia, 2020) di François Ozon, con Félix Lefebvre, Benjamin Voisin, Valeria Bruni Tedeschi, Isabelle Nanty, Melvil Poupaud, Philippine Velge. Mélo. *** ½

Un mélo è sempre un noir e viceversa, perché una storia d’amore è sempre una storia di morte. Del noir e della sua tensione interna il mélo è il rovescio. O forse il versante oscuro, la fiamma che arde oltre i confini dei generi, una prospettiva alternativa della stessa storia. È una cosa che François Ozon sa, la sa da sempre, perché le sue storie d’amore hanno sempre a che fare con il lutto, il crimine, l’impenetrabile verità che si edifica sull’enigma del racconto.

E, ci risiamo, Ozon – al meglio anziché no – fa sempre dei film sul narrare e sul narrarsi, dove ci sono eroi dannati che si rivelano attraverso la scrittura e la scrittura di sé, che scrivono perché solo così riplasmano la realtà e cercano disperatamente di possederla e ripiegarla a proprio piacimento, che attraverso l’atto del raccontarsi reinventano se stessi alla ricerca di un posto nel mondo. E del vedersi, al cinema: non sappiamo cosa vedono in sala, perché il cinema sono loro.

Eté 85 - Recensione del nuovo film di François Ozon

Ète ‘85 contiene sin dal titolo l’evocazione del passato, il ricordo di un periodo preciso, una porzione di tempo ritagliata dal resto che assume va da sé lo statuto del momento in cui si compie un’intera esistenza. Romanzo di formazione, d’accordo, racconto d’estate, certamente, sul mare della Normandia e sulle giostre del luna park, ma il depistaggio è annunciato, il noir – cioè l’elemento perturbante apparentemente distonico rispetto alla bussola del mélo – esplode nel modo meno prevedibile e la discesa nelle tenebre del desiderio si esprime attraverso un repertorio di citazioni, colori, suoni, rimembranze estrapolato dal passato ma trasfigurato nel classico, esaltato a materiale iconico, virato dai filtri di una nostalgia che sembra appartenere a tutte le epoche.

C’è una fonte letteraria all’origine, che è uno spoiler a suo modo: Danza sulla mia tomba di Aidan Chambers, cioè il patto degli innamorati, una promessa che è un presagio. Il triangolo no, la seduzione come merce di scambio per ammazzare la noia, la coppia è un’invenzione costruita da uno dei due. Una barca si ribalta, le mani si sfiorano, voce di Rod Stewart nelle cuffie di un altro tempo delle mele, le mamme si complimentano per le grazie dei giovincelli, il sasso infrange il vetro ma non il corpo che rimanda il fatal colpo. «Perché inventiamo sempre chi amiamo?». Imperfetto: bene così.

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