Improvvisamente, nel cuore di una notte di mezz’estate, l’epifania: Odissea nuda in prima visione televisiva. Classico mancato del cinema italiano all’epoca massacratissimo dalla censura (che versione abbiamo visto?) e dimenticato sotto la polvere del tempo, riemerso grazie ad un restauro presentato quattro anni fa alla Festa del Cinema di Roma e tuttavia mai edito per l’home video, riappare per la prima volta dopo quasi sessant’anni: e, come tutte le gemme dello sconfinato “cinema ritrovato”, è come se fosse un film d’oggi. Anzi: di domani.
La forza di Odissea nuda, infatti, sta nella sua clamorosa modernità. Nella capacità di adattare un topos senza tempo come quello del viaggio di Ulisse alla crisi dell’uomo che scappa dalla società occidentale per ritrovare se stesso. Tema, certo, che abbiamo poi visto mille volte ma che qui ci sembra assolutamente incredibile sia per la caratura internazionale che lo rende film quasi apolide e addirittura rappresentante di tutto l’occidente sia per le analogie intime con la poetica in fieri di Michelangelo Antonioni.
Forse il fatto che dietro la macchina da presa ci sia Franco Rossi, professionista da troppo tempo destinato all’oblio e per nulla studiato, ha contribuito a inserire a sproposito l’invisibile Odissea nuda – complice anche il combinato disposto di esotismo ed erotismo – nel novero dei mondo movies e derivati. Semmai il riferimento più giusto è quello ai documentari di viaggio degli anni Cinquanta, che lo stesso Rossi cercò di ripensare nell’ibrido e altrettanto rimosso Calypso.
Tuttavia di quei successi effimeri che furono i vari Continente perduto, Sesto continente o Magia verde, Odissea nuda è una specie di backstage, l’ipotetico diario di viaggio nei mari del sud, come recita il sottotitolo: «un diario segreto, come nell’Ottocento», dice la voce narrante del protagonista, che forse vorrebbe scrivere un romanzo. Il miglior Enrico Maria Salerno di sempre, nel primo dei suoi ruoli da intellettuale in crisi (verranno Smog, L’ombrellone, Le stagioni del nostro amore…), interpreta, infatti, un regista quarantenne impegnato nella realizzazione di un documentario tra Tahiti e la Polinesia.
Accompagnato da un operatore gaudente di cui un po’ si fida per cameratismo e un po’ diffida per snobismo, ripercorre le rotte del colonialismo europeo per scoprire quei valori autentici e ancestrali che non sa trovare nel suo ambiente. Enrico si sente un Ulisse contemporaneo, si lascia tentare dall’avventura alternando lo stupore turistico dell’annoiato ma curioso occidentale affascinato dal folklore locale e il gallismo italico del predatore pronto a rimorchiare tanto i propri simili (la turista americana alla ricerca del marito scomparso perché «incoronato re di Tahiti») quanto le dee locali (compreso un mènage a trois).
Intanto, appunta idee per potenziali film, si abbandona ai bagordi di feste scatenate che durano per giorni (notevole il montaggio di Otello Colangeli), lascia che riaffiorino i più reconditi ricordi adolescenziali, si lascia affascinare dalle bellezze di «un paese dove non esistono il dolore e i sentimenti». E quando riceve la lettera dell’ex moglie che lo informa della morte della madre, ogni cosa viene a galla: che questo viaggio sia solo il pretesto per fuggire dalle responsabilità, per essere libero fino alla morte senza le incombenze del quotidiano? Forse «sono un vigliacco»? «Povero il mio Ulisse: non è mai partito da casa, non è mai nato».
Scritto, su soggetto dello spericolato Golfiero Colonna, dall’eterogeneo trio composto da Ottavio Alessi, Ennio De Concini e Rossi stesso, Odissea nuda fa collimare la dimensione del film-diario con l’ambizione di un dramma in cui vi sono l’etnografia, il reportage, un soffio di embrionali studi post-coloniali. Magari c’è qualche ingenuità semplificatrice nel definire i confini di una cultura considerata incardinata sul suo essere “facile” e sul rifiuto del dolore, ma sono piuttosto raffinate le riflessioni sul colonialismo.
Dice Enrico a una donna del luogo: «i bianchi sono quelli che ti hanno insegnato a vestirti e a pettinarti come una matta ed abitare in quella camera ridicola. I bianchi sono quelli che vogliono importati le loro lingue invece di parlare le tue. I bianchi sono io che ti considero un animale e ti mentisco quando ti dico che non mi ricordo come sono le donne europee. I bianchi sono dei mostri, soffrono di non poter soffrire». Niente male per l’epoca, specie alla luce degli imminenti mondo movies.
Splendidamente fotografato da Alessandro D’Eva con una tavolozza di colori di esplosività naturalistica, Odissea nuda è uno dei due capolavori di Rossi (l’altro è Giovinezza, giovinezza: qui un’avventura nello spazio, lì nel tempo), una dolente ricognizione sullo spaesamento di un uomo deluso dalla vita e che ha perso il proprio baricentro, alla disperata ricerca di un posto fino ai confini del mondo eppure convinto dell’impossibilità che la felicità possa essere a portata di mano.
ODISSEA NUDA (Italia-Francia, 1961) di Franco Rossi, con Enrico Maria Salerno, Venantino Venantini, Dolores Donlon, Elizabeth Logue, Nathalie Gasse, Pauline Remy. Drammatico. ****
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