Tutti a casa | Luigi Comencini (1960)

Progetto Sordi

le puntate precedenti:

 

Due uomini stanno ascoltando la radio. Le frequenze hanno molte interferenze ma, in sottofondo, come un brusio che si impone tra i rumori gracchianti, i due colgono alcune parole, tra cui una, inequivocabile: armistizio. Il sottotenente Innocenzi è partito per il fronte poco prima dell’annuncio: infatti, non capisce perché i tedeschi sparino contro al suo reggimento. Al ritorno telefona ai superiori: cosa fare? Non tornate, gli dicono in extremis, mentre i tedeschi stanno per ucciderli.

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Tutti a casa inizia così. Nessun film prima d’allora, e praticamente nessun altro dopo, è riuscito a restituire lo stesso smarrimento di quel decisivo frangente. Basta parlare con i testimoni dell’epoca, fuor di retorica e seguendo il filo di una memoria incapace di mitizzare una circostanza così fondamentale per definire il massimo grado della cialtroneria italiana: il caos totale, alleati diventati improvvisamente nemici, nessuna indicazione dall’alto, i soldati e i civili lasciati allo sbando.

D’altronde, il film nasce dai ricordi di Age. È, in buona sostanza, un racconto autobiografico, mediato dalla sceneggiatura scritta col sodale Furio Scarpelli, il regista Luigi Comencini e Marcello Fondato. Se La grande guerra, che la coppia d’oro della commedia all’italiana aveva scritto con Luciano Vincenzoni, si appoggiava su una novella di Guy de Maupassant e per forza di cose ripensava un evento lontano del tempo con l’obiettivo di picconare il monumento, stavolta il repertorio a cui attingere è personale, vicinissimo.

Dopo La grande guerra, era dunque diventato possibile scherzare coi fanti. Eppure su cosa si scherza? Su niente. Si prende la materia per quel che è. Dove non c’è eroismo, c’è commedia. Dove non c’è commedia, c’è eroismo. Come nel finale. Ma la commedia è l’humus e il contenitore, non la gabbia. È l’Italia stessa ad essere una commedia, ovviamente, col suo coacervo di dialetti, piccole epopee, aneddotica… che in Tutti a casa è rappresentata con una completezza ammirevole per dosaggio e misura.

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Nella sua stagione di massima gloria, il cinema italiano poteva permettersi qualunque cosa. Checché ne pensasse il pur utile ministro Andreotti: niente carri armati veri? Che si costruiscano i carri armati in compensato. Dopo I soliti ignoti si poteva morire anche in una commedia, dopo La grande guerra i militari erano scesi dal piedistallo. E, inoltre, trascorsi tre lustri dalla fine della guerra, il cinema italiano era pronto a riflettere sul ventennio fascista. Una vera e proprio esplosione: Il generale Della Rovere, Estate violenta, La ciociara, Era notte a Roma, Il carro armato dell’8 settembre, L’oro di Roma, Tiro al piccione

Tutti a casa è l’apice di questa new wave. All’apice del benessere economico, Comencini guarda all’Italia con le pezze al culo, senza una guida perché il re fellone era scappato, la vocazione alla fuga tramutatasi sul campo in imprevisto valore civile. Colpo di genio: Alberto Sordi. L’attore comico numero uno del momento è (ancora) il protagonista di un film di guerra. Ma questo non è un film di guerra: è un road movie, un viaggio picaresco, una buffa discesa agli inferi del meridione.

Procede per frammenti, tenuti miracolosamente insieme senza la nemmeno vaga impressione che si possa trattare di un montaggio di situazioni. Cosa tiene tutto unito? La consuetudine all’orrore, il pessimismo. L’incipiente resistenza è una follia. La paura per i soldati nascosti nelle cantine. La morte di un compagno per mano dei tedeschi. Le donne che si concedono per scappare. Il ritorno alla casa del padre (Eduardo De Filippo: casting geniale) che vorrebbe il figlio Sordi a Salò. La guerra popolare.

E Sordi, nel cui sguardo c’è un mondo di disincanti e angosce, è il suo perfetto antieroe. Anche se butta via la divisa, non è un vigliacco, ma uno abituato ad eseguire gli ordini, disperato perché proprio questi vengono meno ed è costretto a darne a sottoposti desiderosi solo di tornare a casa. Il film è anche il racconto della sua graduale presa di coscienza: non ha gli strumenti per capire cosa stia davvero accadendo, ma ha l’esperienza e la capacità d’adattarsi alle evenienze per diventare l’eroe che si merita questo Paese disgraziato.

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Tutti a casa è una corale sospesa tra disperazione e umorismo, tra Serge Reggiani (doppiato in napoletano da Aldo Giuffrè) che rivendica il congedo e, dopo aver visto la sua vecchia casa nel vicolo, trova il coraggio di combattare e Carla Gravina fuggitiva ebrea in drammatico love affair col povero Nino Castelnuovo, Martin Balsam che scopre di avere in casa un americano e una bambina che raccoglie i biglietti dei deportati appena passati in treno, la battaglia delle donne per la farina e un bambino che piange sotto le bombe. L’immagine di Sordi con la mitraglia nel finale è roba da stampare sulle bandiere.

TUTTI A CASA (Italia-Francia, 1960) di Luigi Comencini, con Alberto Sordi, Serge Reggiani, Martin Balsam, Eduardo De Filippo, Carla Gravina, Nino Castelnuovo, Didi Perego, Claudio Gora, Marc Ronay, Mario Feliciani, Mino Doro. Guerra commedia drammatico. *****

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