Due o tre cose sull’Oscar a Lina Wertmüller

Ora, siamo tutti contenti per l’Oscar alla carriera a Lina Wertmüller, annunciato insieme agli omologhi riconoscimenti conferiti a David Lynch e all’attore nativo americano Wes Studi e, inoltre, al premio umanitario Jean Hersholt assegnato a Geena Davis. Siamo contenti per patriottismo, perché d’accordo nemo profeta in patria ma, insomma, nessuno in Italia ha mai davvero ostacolato la carriera di Wertmüller. Pur aspramente criticata da molti esponenti della critica militante, la regista ha sempre goduto di un credito forse perfino superiore alla reale qualità della sua opera, maturato soprattutto per il duraturo successo di una manciata di suoi film interpretati da Giancarlo Giannini e Mariangela Melato.

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Da Mimì metallurgico ferito nell’onore in poi, vero spartiacque del suo percorso professionale fino ad allora ancora sfuggente, le sue sono evoluzioni della commedia all’italiana in ottica marxista con una spinta verso il registro grottesco esaltato da asfissianti primi piani e dal ritmo forsennato della macchina da presa. Quelli con la coppia sono film che non solo sbancano il botteghino nazionale, ma ricevono premi in particolare fuori dall’Italia: Film d’amore e d’anarchia permette a Giannini di vincere la Palma d’Oro a Cannes per il miglior attore e alla Melato di sfiorare il premio per la miglior attrice dei critici di New York; Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è segnalato tra i migliori dieci film stranieri dell’anno dal National Board of Review, nominato sempre dai critici newyorkesi (che si erano presi una bella cotta per Lina) per il film, la regia e la sceneggiatura ed è stato anche rifatto in malo modo da Guy Ritchie per accontentare le smanie della moglie Madonna. Anche Mimì conosce un remake, Which Way Is Up? con Richard Pryor.

La consacrazione definitiva avviene con Pasqualino Settebellezze: prima donna candidata all’Oscar per la miglior regia (in più: in cinquina per la miglior regista per la Directors Guild of America, premio speciale dei critici di Boston, tre nomine per film, regia e sceneggiatura dai soliti critici di New York) e nomination anche per il miglior film straniero, la sceneggiatura originale e Giannini miglior attore. E insomma, come dire, come si fa a negare un Oscar onorario ad una regista così?

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Nessuno vuole negarle l’onore, anzi. Dobbiamo però uscire dall’equivoco: Lina Wertmüller non è una pioniera. Lo è certo per questioni storiche: una donna che si fa strada in un mestiere da sempre ad appannaggio degli uomini. Il femminismo di Lina, tuttavia, si limita a questo aspetto, perché nella sua ideologia artistica è difficile se non impossibile rintracciare uno sguardo che non sia ambiguamente teso a far risaltare le esigenze primordiali della carne e del sesso (pensiamo a Travolti…) in una prospettiva – diciamolo pure – maschile. Le donne di Lina non combattono per l’emancipazione, non si prendono gli spazi che spettano loro, e lei non trasfigura in chiave poetica i progressi o le battaglie della comunità femminile.

Si dirà: perché dovrebbe? Ognuno milita come vuole, se proprio vuole militare. E, infatti, non è questo il problema. Ben vengano il nichilismo e la brutalità dello sguardo di Lina, che almeno in Pasqualino raggiunge un paradossale equilibrio. Ma, insomma, ecco, femminismo in che senso? In un certo senso anche Liliana Cavani ha un percorso simile, pur con un ancoraggio al dramma storico che in Lina manca del tutto. Certo, Lina dimostra che tutto è possibile, che una donna può raccontare storie satiriche e addirittura sgradevoli semplicemente perché le va, perché non deve mettere il cappello sulla quota femminista, perché piaccia o meno ha un suo sguardo, una sua cifra, un suo stile.

E tuttavia, se vogliamo proprio essere onesti, l’opera di Lina Wertmüller è piena di cose discutibili. Perché, a parte questa serie gloriosa tra il 1972 e il ’75, tutto il resto non merita una celebrazione in pompa magna. C’è del buono nel pre-Mimì, dall’esordio I basilischi – dentro quella tendenza di un certo cinema italiano interessato a raccontare giovani annoiati di provincia: praticamente una cover de I vitelloni – al capolavoro televisivo Il giornalino di Gian Burrasca (la sua cosa migliore? Per me, sì) passando per i folli musical Rita la zanzara e il meno riuscito Non stuzzicate la zanzara. Ma è nel post-Pasqualino che emergono i limiti della sua poetica.

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Dai tentativi di replicare se stessa con i proverbiali titoli chilometrici sempre più stucchevoli (La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia con la diva Candice Bergen al posto della Melato accanto a Giannini e Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico con Michele Placido al posto di Giannini accanto alla ritrovata Melato, per tacere del semi-auto-remake Metalmeccanico e parrucchiera) a terribili operazioni raffazzonate come il mélo Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova o la cupa commedia Sotto… sotto… strapazzato da anomala passione. Meglio il ritorno alla satira del confuso ma divertente Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada e lo scatenato e un po’ spudorato ma ispirato camorra-movie Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti. Solo interessante sulla carta In una notte di chiaro di luna, tragediona negli anni dell’Aids.

E se l’adattamento da Eduardo di Sabato, domenica e lunedì rivela un temperamento più rilassato e perciò davvero felice, con la parca Sophia Loren che, dopo Fatto di sangue, la sceglie come regista di fiducia in ottica internazionale (si ritrovano nel riuscito period drama televisivo Francesca e Nunziata e nell’imbarazzante Peperoni ripieni e pesci in faccia), sono trascurabili le trasposizioni letterarie come il longseller Io speriamo che me la cavo e Ninfa plebea. Inattiva da qualche tempo, ormai novantenne, è una delle ultime memorie storiche del nostro cinema, che attraversa da oltre sessant’anni. Una figura indubbiamente carismatica, che Woody Allen avrebbe voluto far apparire in Io e Annie e Nanni Moretti cita con disprezzo in Io sono un autarchico, che ha assistito Federico Fellini in 8 ½ e ha scritto delle belle canzoni per Mina. Che dire? Siamo contenti ma, un momento, cerchiamo di essere onesti.

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